Rocco Papandrea, chi non lo conosce a Torino? I più vecchi se lo ricordano nei cortei e negli scontri di corso Traiano, nel ’69, fianco a fianco con Franco Turigliatto. Già leggeva i libri di Leone Trockij e ascoltava le lezioni di Livio Maitan. Insomma, un «quartino» nel senso della IV Intemazionale. Emigrato a Torino dalle Calabrie all’età di 4 anni, a 11 già operaio al nero e a 16 con le marchette in una boita del sub-indotto Fiat per 2 anni. Finalmente Mirafiori meccaniche, ingresso da via Plava, Rocco in linea e Gianni Usai manutentore, giusteur, uno quartino e l’altro manifestino. Chi non li conosceva, su su, lungo gli anni 70, fino al 77, al contratto del 79, ai 35 giorni? Rocco a Mirafiori meccaniche è rimasto anche quando furono ribattezzate Powertrain in conseguenza del matrimonio finito male con GM. C’è rimasto fino allo scorso anno, 36 anni e mezzo di contributi, una vita a sotto la famiglia Agnelli, più i due sotto il padroncino, adesso è in pensione. In mezzo, la militanza in Democrazia proletaria e la confluenza in Rifondazione dove è stato segretario regionale. In mezzo, 10 anni da consigliere regionale e il ritorno per un anno a Mirafiori. Senatore, volevano farlo. No grazie, meglio la fabbrica «per non perdere contatto». Adesso è nella segreteria regionale del Prc, nella maggioranza bertìnottìana, meglio dire ferreriana. Sempre e soprattutto Fiom, fortissimamente Fiom. n suo compagno quartino Turigliatto che a Mirafiori ha più d’un seguace gli dà del traditore, povero Rocco, lui che da irriducibile antistalinista aveva persino sconsigliato ai suoi compagni di adottare provvedimenti disciplinari troppo duri nei confronti del senatore in libera uscita.
A partire da Mirafiori
Cominciamo proprio da Rocco il nostro viaggio tra i rifondaroli torinesi, da quelli in tuta blu. Per capire come vivono l’esperienza di governo e come, e con chi, pensano il loro futuro politico. Insomma, la «cosa rossa». E cominciamo quest’inchiesta l’indomani del giorno più nero, il giorno delle pensioni. «D bilancio della nostra esperienza al governo non può essere che negativo. Pesa troppo l’esito della trattativa sulle pensioni: nel momento in cui serviva un risarcimento ai lavoratori dipendenti è arrivata un’altra mazzata. Dobbiamo fare del tutto per migliorare il testo, inutile dividerci tra chi vuole restare al governo e chi vuole andarsene, non cadiamo in questa trappola. Guardiamo ai lavoratori, e alle loro condizioni. Se sciaguratamente, fatti tutti gli sfor-
zi per cambiare significativamente il testo e dunque per salvare il governo dalla crisi, non dovessimo riuscire, dovremo prenderne atto. Non c’è voto di fiducia che tenga». C’è un aspetto politico che preoccupa Rocco: «Nel programma dell’Unione c’era scritto che avremmo abolito lo scalone, non si può avere un programma per cuccare i voti e uno opposto per governare. Alla gente nostra che in fabbrica comincia a dirci ‘siete tuta” uguali’ non puoi limitarti a rispondere che hanno torto, devi dimostrare che noi siamo diversi. Come Prc abbiamo fatto anche qualche errore, in particolare abbiamo creduto che avremmo stravinto le elezioni mentre un risultato di sostanziale parità al senato ha spinto la componente maggioritaria dell’Unione su posizioni centriste. E abbiamo sottovaluto la pressione del Partito democratico sulla Cgil. Ora, va bene dire che ci attestiamo sulle posizioni della Cgil, ma non vincolandoci alle scelte separate del suo gruppo dirigente, bensì a quelle dei lavoratori che il sindacato rappresenta, o dice di rappresentare”.
Jole è operaia alle presse di Mirafiori e usa un linguaggio diretto, poco mediato dalla politica. «Il bilancio di Rifondazione? Un disastro. L’avventura di governo è cominciata male con lo scippo del Tfr che è roba nostra, poi la finanziaria che ci aumenta le tasse e infine l’imbroglio sulle pensioni. Lasciamelo dire: i lavoratori si aspettavano fatti concreti che migliorassero la nostra condizione, mica l’indulto o i Dico. I sindacati, poi, neanche si sono degnati di venire a spiegarci Tfr e finanziaria, e noi ai segretari generali glie l’abbiamo cantata a Mirafiori. Non è bastato. Hanno regalato il cuneo fiscale ai padroni e, per di più, tocca a noi pagare gli assegni familiari agli evasori. E avanti con le pensioni. Gira e rigira, è rimasta la legge Maroni, un furto rateizzato nel tempo. Guarda, il Prc si è messo in un vicolo cieco. I miei si sono illusi di fare chissà cosa e invece hanno vinto Bonino e Rutelli. Rifondazione rischia di cambiare natura e sta perdendo il rapporto con la sua gente». Pasquale è operaio alle carrozzerie, quadro Fiom nonché segretario della sezione Prc di Mirafiori, appena una ventina di iscritti su 15 mila lavoratori dopo la fuoriuscita dal partito di un bel gruppo di militanti dei Cobas. Al congresso sì è schierato con Turigliatto ma non vuol discutere di scissione a settembre, dice di non aver letto il documento che nei fatti l’annuncia. Parla di «sofferenza» tra i lavoratori e nel partito e se gli chiedi un bilancio dell’esperienza di governo non ha esitazioni: «Contavamo in una tenuta, invece con questo accordo ci si allinea ai poteri forti. Abbiamo prèso qualcosa in questi mesi, è vero, ma solo quel che ci hanno regalato. E dire che le nostre ragioni le avevamo dette con chiarezza, prima ai segretari confederali e poi anche a Ferrerò. Non sono state mantenute le promesse fatte a chi ci ha votato e in cambio abbiamo regalato il cuneo fiscale ai padroni. Spero che si riesca a fare una battaglia nel partito, perché devono sapere che l’in-cazzatura non è solo mia, è della maggioranza degli operai».
La Fiom è sola
Marilde Provera, una vita in Fiom e poi la scelta di Rifondazione, oggi deputata. L’ultimo lavoro in fabbrica al Cri, il Centro ricerche Fiat. E’ un fiume in piena, è secondaria la sua collocazione nella maggioranza del Prc con il gruppo dei grassiani, ci sono momenti in cui prevale l’appartenenza sociale: «Veramente esaltante, proprio eccezionale questo accordo sulle pensioni che diluisce nel tempo la Maroni ma, a lungo termine, riesce a peggiorarla. Il bilancio sili-la nostra esperienza di governo è decisamente debitorio nel rapporto costi-benefici. Nei rapporti di lavoro, non un punto del programma che ci stava a cuore è stato perseguito con convinzione e realizzato. In finanziaria nessuna redistribuzione della ricchezza, siamo riusciti solo, a non far perdere più di tanto ai lavoratori che pure qualcosa hanno perso. E la redistribuzione del fiscal drag dov’è finita? Invece parte del teso-retto è addirittura finito a banche e assicurazioni. Cose abbiamo provato a fame, Ferrerò ha lavorato bene ma tutte le cose buone sul versante sociale restano bloccate. E la Rai? E la scuola? Non venirmi a chiedere un bilancio, lascia stare». Marilde riprende fiato: «A settembre dobbiamo conquistare una modifica del testo sulle pensioni e segni concreti nella direzione del risarcimento sociale alla parte più spremuta e sofferente del paese. Senno, che salti pure tutto. Scusa lo sfogo, ma io prima che della maggioranza sono un cane sciolto, sciolto anche da me stessa».
Pietro Passarino, come tutti quelli e quelle con cui parliamo, è della Fiom prima ancora che del Prc e della sua maggioranza. Pietro è funzionario sindacale, accento non proprio torinese, collocato nell’area 28 Aprile ma «un po’ meno radicale di Giorgio» Cremaschi. Anche lui ricorda i passaggi «a perdere» della politica economica del governo e anche lui parla di deficit Sulle pensioni, poi, «andavano ridotti i danni ai lavoratori della riforma Dini, altro che gli scalini. E’ l’effetto Partito democratico che segna questa fase politica e modifica il modello sociale, cambiando le figure sociali di riferimento. La permanenza della legge 30 sulla precarietà completa il quadro. I lavoratori ci stanno sommergendo di comunicati di protesta, alcuni firmati dai nostri delegati Fiom, altri dalle Rsu. Al centro di ogni ragionamento dei sedicenti riformisti ci sono i conti dello stato, conti truccati come spiega Gallino. Ma tant’è. Anche sull’aspetto presentato da Cgil, Cisl e Uil e dal mio partito come passo avanti, i lavori usuranti, ci sono cose non chiare: che vuol dire che servono 80 notti di lavoro per essere esentati? I giorni lavorativi sono 220 l’anno, e un terzo fa meno di 80. Non sarà che vogliono salvare solo i pipistrelli (chi fa il turno di notte fisso, ndr)? Di bilancio del Prc è ampiamente deficitario, lo sto con la maggioranza del partito, con l’obiettivo di costruire un soggetto politico più ampio. Ma questo non muta il mio giudizio sull’accordo. 0 si cambia, oppure che ci stiamo a fare al governo?». E aggiunge: «Subito dopo le elezioni, nelle fabbriche era presente la preoccupazione sulla possibilità che cadesse il governo. Ora questa preoccupazione è molto scemata, stanno facendosi spazio sentimenti di rassegnazione e passività». Ci risiamo, «siete tutti uguali» o peggio: «Aveva ragione il Berlusca, chi vota a sinistra è un coglione».
Perìcolo distacco
Giorgio Pellegrìnelli lavora all’Ibm ed è delegato Fiom, ma è anche il responsabile torinese della commissione lavoro del Prc. Si definisce «della maggioranza senza passione. Sono un battitore libero, un non allineato». Origine «gruppettara», Avanguardia operaia e Democrazia proletaria. «La maggioranza dei compagni in fabbrica si sta convincendo che il governo Prodi non ha migliorato la condizione sociale. Passando dall’Ibm a Mirafiori, il giudizio è tanto più negativo quanto più duro è il lavoro che si fa, man mano che si scende nella gerarchia del lavoro. Si aspettavano ‘ risposte sul fisco e sulla precarietà, non arrivano e così cresce la disillusione. Molti nostri compagni si rifugiano nella pura militanza sindacale e rinunciano a una battaglia politica più generale. Rifondazione sarà sempre più esposta se non riuscirà a incidere sulle scelte politiche mentre “cresce la distanza tra la politica, la sinistra, e il mondo del lavoro. ‘Per fortuna che c’è la Fiom’, sento ripetere. Ma manca una rappresentanza politica in sintonia con la resistenza sociale. La prima cosa da fare è il recupero di un rapporto con chi vorremmo rappresentare».
A una seconda domanda – è utile e realizzabile un soggetto unitario a sinistra del Pd, una massa critica per dirla con Bertinotti? – i nostri interlocutori rispondono atto stesso modo, con poche sfumature e una sola eccezione. «Sarebbe necessaria ma non a parole, nei fatti già sulle pensioni ci siamo divisi. La massa critica serve à reggere al livello parlamentare. Anche perché – risponde Marilde – se restasse solo il Partito democratico, cosa dovrebbe fare un operaio, emigrare in Papuasia? Cominciamo con un’unità d’azione, per fare passi avanti ci vuole il suo tempo». «E’ giusta un’alleanza a sinistra del Pd, ma non è semplice. Sulle pensioni, ha preso forma una diversa sensibilità sociale rispetto a Mussi e Pecoraro Scanio», dice Giorgio. «E’ la strada giusta, ma serve una verifica continua sulle questioni concrete, cioè sulle politiche. Ha ragione Ferrero – secondo Rocco – dovremmo fare una roba che assomigli alla Flm: una forza capace di aggregare anche fuori dai soggetti fondatori senza però negare le appartenenze delle singole organizzazioni». «Va bene il soggetto unitario, ma Senza chiarezza nei contenuti non avrebbe prospettive. Per me – è la volta di Pietro – al centro del processo vanno messe le questioni sociali. Li vogliamo modificare o no i rapporti di forza, che ora pendono pesantemente dalla parte dei padroni?». Pasquale invece non ci crede proprio all’unità con Mussi, Verdi e Pdci: «Unità a sinistra? Mi sembrava che il Prc volesse rifondare il comunismo. Ho capito male? Sono troppe le differenze, questa cosa non la vedo, finiremmo per buttarci al centro anche noi».
E’ un osso duro per tutti da addentare, Mirafiori. Non è da oggi che la politica delle sinistre non sfonda tra gli operai che, a differenza che in tante fabbriche del nord, hanno continuato a votare, e a votare a sinistra. Il vento però sta cambiando e potrebbe cambiare anche nelle urne elettorali. I segnali non mancano. Su 15 mila operai saranno sì e no 150 quelli che hanno in tasca la tessera di un partito. Del resto, di tutti i delegati torinesi della Fiom meno del 10% è iscritto a un partito. E tutto questa succedeva prima del «bidone» pensionistico. Sarebbe bene che a settembre la politica, le sinistre, Rifondazione e prima ancora la Cgil tenessero a mente questi indicatori. La solitudine operaia, a lungo andare, può accompagnarsi a una regressione culturale. Non c’è molto tempo per evitare tale deriva.
(1 – continua)