Non si tratta di una grande svolta, e però che il centro-sinistra (un po’ più di sinistra del nostro italiano) sia maggioranza nel più grande paese europeo – 90 milioni di abitanti, un terzo del Pil dell’Unione – è una bella notizia. Non era affatto scontato, visto che per tutta la campagna elettorale si è continuato a dire che la Germania voleva porre fine al governo rosso-verde e punire Schroeder perché troppo timido nel condurre in porto le «indispensabili» riforme dello stato sociale, tanto è vero – così è suonata l’accusa – che nei suoi ultimi comizi ne aveva sempre meno parlato. Che, insomma, anche qui era giunta l’ora del liberismo più puro. E invece il voto ha dimostrato che a questo stato sociale i tedeschi tengono molto, e anzi se una parte ha disertato il partito socialdemocratico è perché il suo governo lo aveva mutilato; e per questo ha optato per una sinistra che della difesa della giustizia sociale e del lavoro ha fatto il suo cavallo di battaglia e su questa piattaforma ha conquistato la ragguardevole proporzione dell’8,5 per cento, superando il ben consolidato partito dei Verdi.
Della cosiddetta modernità di Angela Merkel, dunque, i tedeschi non si sono fidati e del resto si capiva da settimane che non era credibile che la protesta contro l’Agenda 2010 avrebbe premiato proprio il partito che voleva renderla ancora più dura.
La destra (la definizione si attaglia, perché la Cdu-Csu è ormai assai poco «sociale») non è dunque passata, ha anzi registrato uno dei peggiori risultati della sua storia (solo nel `98 andò oltre). E anche se è vero che la Spd ha messo un bel po’ d’acqua nel suo vino, come del resto tutti i partiti dell’Internazionale socialista, lo scontro nella campagna elettorale c’è stato: non solo sul quanto dello stato sociale andasse salvato, ma sul nucleare, sul ruolo delle donne (l’offensiva neocons sollecitata dal papa tedesco non è stata da poco), sul fisco, e anche, sebbene il problema sia rimasto più in ombra, sul pacifismo.
Non è di poco conto neppure che, a differenza di quanto avviene in tutto il mondo ex comunista, qui i Laender della vecchia Repubblica democratica tedesca abbiano votato massicciamente a sinistra, a Berlino dando a Spd, Die Linke-Pds e Verdi il 70 per cento dei voti. E ieri sera, all’annuncio dei risultati, sono uscite a migliaia, nella capitale, le T-Shirt con su scritto: «I frustrati decidono le elezioni», un riferimento alla sprezzante frase pronunciata dal leader bavarese Stoiber (che ha comunque subito un tracollo anche nel suo feudo) contro i cittadini dell’est.
Di questa verità gran parte dei commentatori italiani sembrano non essersi accorti, tutti perduti a denunciare la drammatica instabilità del paese per colpa della legge elettorale proporzionale. Alla nostra destra piace infatti molto un sistema che come in Gran Bretagna e negli Stati Uniti consente di governare con proporzioni risibili: Blair con il venticinque per cento degli aventi diritto, Bush con qualche decimo in più. Con buona pace di quella estesa maggioranza che resta senza rappresentanza politica alcuna, mortificati o addirittura espulsi dal sistema democratico.
I tedeschi, è vero, un nuovo governo non l’hanno indicato. Ma non dipende dal sistema elettorale, che peraltro è di gran lunga migliore per la salute della democrazia se riflette diligentemente gli umori della società, non se li nasconde.
Dipende dal fatto che in tutta Europa si è arrivati a un passaggio cruciale e tutt’ora è incerto l’esito del conflitto che produce: da un lato una coscienza più radicata di quanto non si creda dei diritti acquisiti lungo un secolo di lotte che hanno disegnato un modello europeo diverso da quelli del resto del mondo e su cui dovrebbe fondarsi, se si vuole che conti qualcosa, l’Unione Europea; dall’altro il ricatto brutale imposto dalla competitività esacerbata che la globalizzazione, prona l’attuale leadership di Bruxelles, ha indotto. Non è un dilemma facile da sciogliere, né in Germania né in Italia né altrove, basti guardare alle convulsioni del Ps francese. E se in Germania a questa maggioranza, detta nel gergo locale «rosso-verde», non corrisponde un governo possibile non è solo per via dei rancori che dividono Lafontaine da Schroeder, né da un insanabile conflitto: è anche perché un modo per affrontare il problema senza arrendersi, la sinistra non l’ha ancora trovato. Ma è un fatto che il bipolarismo morbido tanto inseguito in Italia è in crisi, le scelte si fanno più dure, l’articolazione sociale più complessa. L’instabilità che si è creata per l’assenza di una indicazione governativa certa, il voto l’ha solo registrata, non l’ha creata. Ed è un bene che sia emersa, perché anziché apporre un tappo virtuale a una situazione in movimento così si lasciano aperti gli sbocchi a chi ha più filo da tessere e capacità di muovere i rapporti di forza reali nella società. E speriamo che la nuova sinistra, che per la prima volta dal dopoguerra è arrivata in parlamento anche in Germania, come già in molti altri paesi europei, sappia essere all’altezza del ruolo che è necessario venga svolto, non solo nel chiuso dell’aula del Bundestag. E però non è vero che questa maggioranza di centro-sinistra non sia dunque utilizzabile già nell’immediato (in un dibattito a caldo sui risultati Franco Tatò ha detto: il voto per la nuova sinistra cambia la politica tedesca ). Il fatto che un’alternativa, sia pure per ora solo virtuale, sia possibile, dà infatti alla Spd un forte potere contrattuale nelle future ed eventuali coalizioni di cui finirà per far parte. A tal punto che nel dibattito immediatamente seguito alla proclamazione dei risultati il Cancelliere ha potuto sfidare la Merkel affermando di non essere affatto disposto a mettere il suo partito sotto il suo scettro. E questo è un obbiettivo che Schroeder potrebbe raggiungere anche nell’eventualità si dovesse arrivare alla grande coalizione perché l’ipotesi che in queste prime ore si sta delineando è quella di un governo Cdu-Csu e Spd, ma senza la Merkel come cancelliere (e già si parla del presidente della Bassa Sassonia, un democristiano moderato).
Per un mese si saprà comunque poco, perché tanto manca all’inaugurazione del nuovo Bundestag ed è possibile che, se non al primo voto previsto dalla Costituzione, almeno dopo il secondo andato a vuoto, i liberali crollino e accettino la Ampel Koalition (semaforo), assieme a Spd e Verdi. E dunque con Schroeder nuovamente al comando. Difficile, invece, quella che già è stata battezzata «Giamaica», per via dei colori che corrispondono a quelli della bandiera della repubblica caraibica: nero, giallo, verde. E ancora più difficile che tutti tengano duro e si arrivi, come previsto dalla legge, allo scioglimento del Bundestag dopo sei mesi di governo di minoranza. I famosi fantasmi di Weimar aleggiano sempre e sebbene sia un auspicio che la Germania sia capace di muoversi e di rinnovarsi, non è del tutto male che un paese così importante per gli equilibri europei non resti preda di improvvise avventure che una destra estrema (per ora qui inesistente) potrebbe tentare.