Terremoto nel mondo dei call-center, dopo lo scoop del Corriere della Sera di ieri, che ha rivelato l’esito delle indagini condotte dagli ispettori del lavoro all’interno dell’Atesia di Roma. Secondo gli ispettori, infatti, i 3800 lavoratori a progetto impegati nell’azienda del “re dei call-center” Alberto Tripi, sarebbero subordinati a tutti gli effetti. Un’affermazione che getta nello scompiglio l’intero settore dei contact-center (100 mila persone impiegate), che da sempre applica contratti parasubordinati.
Il risultato delle ispezioni, infatti, ha un valore paradigmatico: l’Atesia è uno dei più grandi centri telefonici del paese, con 4200 lavoratori, e fa parte della Cos, azienda che gestisce decine di call-center, con ben 12 mila addetti.
La vicenda sarà affrontata probabilmente già oggi dal ministro del lavoro Cesare Damiano, che riceverà i sindacati e i manager dell’azienda, alla ricerca di una soluzione che possa rimettere ordine non solo nella grande azienda romana, ma in tutto il settore. E’ molto probabile che dopo l’incontro il ministro decida di emettere una circolare interpretativa, capace di dettare regole di indirizzo sull’uso dei contratti parasubordinati. «Non si può risolvere il problema della precarietà senza dare soluzione alla vertenza dell’Atesia», annuncia al nostro giornale la sottosegretaria al lavoro Rosa Rinaldi. «La soluzione di questa vertenza varrà per tutto il settore, da sempre caratterizzato da una generalizzata precarietà. Per questo è dovere imprescindibile del governo occuparsene». Da Atesia, dunque, potrebbero nascere delle prese di posizione riguardanti l’intero mondo dei collaboratori. Secondo il Nidil si tratta di circa 1,2 milioni di lavoratori, un numero ben superiore ai 377 mila stimati dal ministero del lavoro negli scorsi giorni.
Il risultato delle ispezioni è per i sindacati un’opportunità per chiedere nuove regole nel «far west» dei call-center. «Si apre uno scenario nuovo, nel quale bisognerà mettere un freno all’uso improprio delle collaborazioni», afferma Emilio Viafora, segretario generale del Nidil-Cgil. Grande difficoltà, invece, si vive negli uffici del gruppo Almaviva di Alberto Tirpi. Con una nota l’azienda ammette di «temere la cessazione di importanti contratti commerciali» e rivendica l’accordo firmato coi sindacati lo scorso 11 aprile (contro cui si sono aspramente battuti i giovani del Collettivo Precari) definito «l’unica soluzione praticabile». Peccato però, che le rimostranze degli ispettori riguardino anche quell’accordo, che prevedeva (con una deroga peggiorativa anche rispetto alla legge 30) la stipula di 1100 contratti di apprendistato, a fronte di solo 200 stabilizzazioni (la legge prevede un rapporto di 1 a 1 tra le due tipologie contrattuali). Per l’azienda è il rischio è molto grande: migliaia di lavoratori potrebbero ricorrere in giudizio e chiedere un ricco risarcimento e l’assunzione con contratti subordinati; inoltre bisognerà sanare un salatissimo conto di contributi arretrati con l’Inps. Per i manager dell’Atesia, dunque, la trattativa è l’unica speranza per scongiurare il collasso del contact-center di Cinecittà.
Fa un lunghissimo passo indietro, invece, Emilio Miceli, segretario della Slc-Cgil che di quel pessimo accordo fu uno dei firmatari. «Quell’accordo non è più praticabile», dice il sindacalista. «Chiediamo all’azienda di fermarsi e attendere una presa di posizione del Ministero. Auspichiamo una circolare che possa fare chiarezza».
Il Collettivo Precari Atesia- che né l’azienda né il Ministero hanno mai riconosciuto come diretti interlocutori, nonostante 7 scioperi con oltre il 90% di partecipazione- scenderà ancora in piazza il 9 giugno, con appuntamento alle 11 sotto il ministero del lavoro. Alla manifestazione parteciperanno anche Arci, Attac, Cobas, Fiom, Sincobas e il dipartimento lavoro del Prc. Un’appuntamento che configura in piccolo la manifestazione contro la precarietà che sarà indetta con una grande assemblea prevista a Roma l’8 luglio.