Sondaggio, gli italiani: “Libertà? Questo conflitto è per il petrolio”

Rilevazione Abacus: solo il 28% del campione crede alla tesi americana della guerra scatenata per la democrazia e contro il terrorismo

Iraq, gli italiani convinti che le cose vadano diversamente da come sono raccontate
di PIERO SANTONASTASO

ROMA – Difficile orientarsi nel mare di notizie distorte, falsificate o inventate prodotte dagli “uffici stampa” dei contendenti in campo. Il risultato è che, per quanti sforzi compiano i giornalisti di stampa e tv, il 55,3% degli italiani ha un’immagine negativa dell’informazione che impazza intorno al conflitto in Iraq. Vale a dire che un terzo abbondante pensa che ci sia una differenza marcata tra quanto viene raccontato e il modo in cui i fatti si svolgono veramente. E uno su cinque ritiene che le cose non vadano assolutamente così come vengono presentate. Il corollario di questo assunto è che per il 40% del campione sondato da Abacus per Grandangolo, i mezzi di informazione italiani tendono ad appoggiare gli interessi americani e inglesi, con un 41% convinto che giornali e tv siano equidistanti e un piccolo 4% che ritiene la stampa italiana schierata con Saddam.
Il rovescio della medaglia è che sulle ragioni di questo conflitto le idee sono molto chiare: secondo il 46% degli italiani si tratta di una guerra economica per il petrolio. Solo il 15% aderisce alle motivazioni anglo-americane sul ristabilimento della libertà in Iraq e un ancor più modesto 9% ritiene che la ragione vera sia il disarmo di Saddam. Insomma: i briefing quotidiani dei leader e dei generali delle due parti “fanno scena”, ma nessuno è disposto a dar credito più di tanto alla marea di chiacchiere in uniforme.
In quest’ultimo sondaggio Abacus, più che in quelli finora realizzati, emergono comunque forti differenze dall’analisi delle tavole d’incrocio fra le componenti del campione distinte per sesso, età, titolo di studio, condizione professionale e zona di residenza. Così, l’immagine più negativa dell’informazione offerta si registra fra gli abitanti delle grandi città (63,2%), le casalinghe (61,5%), chi vive al Centro Sud (61,1%), le donne (60,4%) e chi ha più di 60 anni (60,6%). La convinzione che le cose non stiano proprio andando come vengono raccontate è diffusa soprattutto fra chi ha la licenza elementare o nessun titolo di studio (29,4%) e ancora le casalinghe e gli ultrasessantenni. I picchi nella patente di credibilità, al contrario, si registrano tra i commercianti, gli artigiani e i lavoratori autonomi (57,5%) e i laureati (51,7%).
L’informazione sull’Iraq è giudicata eccessiva soprattutto nel Nord Est (63,5%) e fra impiegati e insegnanti (60,4%). A ritenere congrui gli spazi che giornali e tv dedicano al conflitto sono i laureati (57,4%), gli studenti (55,3%) e imprenditori, professionisti e dirigenti (52,8%). Ancora fra gli studenti si ha il picco fra quanti sostengono la liceità di diffondere le immagini forti legate al conflitto (63%), tesi che raccoglie una maggioranza ristretta anche al Centro Nord e nel Nord Est, fra operai, disoccupati e chi ha fino a 30 anni.
Nel Centro Sud si è convinti dell’equilibrio dell’informazione proposta (51%), mentre operai ed esecutivi ritengono che la stampa appoggi soprattutto la causa americana (50,4%). Molto più netta, sempre fra operai ed esecutivi, la maggioranza di chi sostiene che questa sia una guerra economica (59,1%), tesi che raccoglie il 55,2% fra gli abitanti delle grandi città e il 52,9% fra i giovani e chi ha la licenza media.