Il ragazzo ha la faccia coperta di sangue e sabbia. Addosso i colori del governo di transizione nazionale somalo. Gli hanno appena sparato, ferita grave, dovrebbe essere trasportato al più presto all’ospedale. Invece viene circondato da miliziani con la faccia coperta. Un miliziano con il kalashnikov dice «lo finisco io». «Prima di ammazzarlo – dice una voce fuori campo – fatemelo almeno intervistare». Il giornalista si avvicina cinicamente al corpo quasi cadavere e piazza davanti alla sua bocca schiumante un microfono. «Che ci fai qui?». Il ragazzo comincia a recitare il Corano, sta morendo, non gli viene in mente altro, sussurra lentamente «sono del Putland, ma non sono governativo, l’ho fatto per i soldi, i militari qui li pagano bene. Vi prego fratelli non mi uccidete. Vi prego…wa la ii siire, sono stato ingannato». Poi buio. Fine dello scoop.
Queste immagini sconvolgenti sono state trasmesse da Universal Tv, una televisione satellitare somala che trasmette da Londra, la sera del 21 marzo. Immagini che testimoniano la ripresa degli scontri nella capitale. Milioni di somali della diaspora vengono riportati ad una realtà di morte che volevano dimenticare. Gli scontri degli ultimi giorni hanno gettato la Somalia in un nuovo caos sanguinolento di cui non si riesce bene a leggere il futuro. Non si sa più chi è contro chi. Sarebbe facile leggere il conflitto oggi ri-scoppiato in Somalia come una guerra against terror in salsa Bush, dove da una parte ci sono i buoni del «governo di transizione» (coadiuvati da Etiopia e Unione africana) e dall’altra i cattivi delle Corti islamiche pro al-Qaeda. Sarebbe facile e consolatorio.
Il problema in Somalia oggi invece è il nefasto ritorno della lobby dei signori della guerra, che sono stati rimessi in campo dall’impero con i bombardamenti natalizi. Il paese è sotto sequestro e le armi proliferano da ogni dove.
L’escalation del conflitto armato sta rendendo dura la vita a tutti, anche ai molti giornalisti locali e no che tentano di dare informazioni. Le brutte immagini di Universal Tv rischiano di diventare purtroppo anche le ultime. La notizia che ha atterrito i somali della diaspora, infatti, è la chiusura della sede di Al-Jazeera da parte del governo di transizione. Le immagini di Al-Jazeera erano praticamente le uniche che venivano dal paese, chiudere la sede ha un significato preciso: non si vogliono testimoni scomodi per il massacro che sta per arrivare. La Tv araba non si dà per vinta e annuncia che troverà un modo per informare sugli sviluppi della guerra.
«Io mia figlia la porto in Uganda – dice Gurey – qui non si può più stare. Il casino aumenterà e non voglio che me la violentino di nuovo». Gurey in tempo di pace lavorava alla dogana, ora è un disperato qualsiasi. È riuscito, grazie all’aiuto di una parente in Minnesota, a trovare uno sponsor per la ragazza. Ma prima deve andare in Uganda, il problema è che non ci sono più aerei a Mogadiscio, per nessuna destinazione. «Prima con le Corti, che a me non piacevano, l’aeroporto era aperto. Invece ora è il caos. Ci andrò a piedi in Uganda. Qui non restiamo».
Su internet c’è chi da lontano fa la conta dei morti. Un sito italiano, Somali body count 2007 (sottotitolo: stop al massacro della popolazione civile), avverte chi li visita che i numeri del massacro sono molto più pesanti, avendo loro solo come fonti le agenzie di stampa. I somali sono molto attivi su internet. Sublimano in rete la perdita di una patria che era tra le più belle del continente, «il paese degli incensi». Le immagini e i commenti si susseguono incessanti. Oggi a dominare la scena sui siti sono i corpi etiopi trascinati per le strade nell’ultima battaglia di Mogadiscio, come un tempo lo sono stati gli americani durante la missione Restore hope. Guardando queste immagini si ha la sensazione che la storia della Somalia si sia fermata. «Evitate alla Somalia la vergogna», cantava anni fa Maryan Mursal. La vergogna in Somalia non è mai cessata. Anzi sta per ricominciare.