Soluzione saudita per il tribunale Hariri

La crisi politica libanese potrebbe aver imboccato la strada di soluzione pacifica grazie all’iniziativa lanciata dal presidente del parlamento Nabih Berri, leader del partito sciita Amal alleato di Hezbollah, che ha proposto all’Arabia Saudita di organizzare una «riunione di consultazioni» per superare l’impasse sulla creazione del tribunale internazionale sull’attentato in cui, il 14 febbraio 2005, trovò la morte l’ex premier Rafiq Hariri. Ad annunciarlo è stato il Segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon che due giorni fa ha fatto rapporto al Consiglio di Sicurezza sulla sua recente missione in Medio Oriente. Berri, ha detto Ban, ha suggerito anche la partecipazione ai colloqui del Consigliere giuridico dell’Onu, Nicolas Michel. L’iniziativa di Berri è ancora più rilevante perché punta anche ad allentare la tensione tra la maggioranza filo-Usa che sostiene il governo di Fuad Siniora e l’opposizione capeggiata da Hezbollah e dal partito cristiano dei «Liberi Patrioti», riesplosa dopo il colpo di mano compiuto da 70 deputati della maggioranza che, interrompendo ogni trattativa, qualche giorno fa hanno chiesto alle Nazioni Unite di farsi parte dirigente della creazione del tribunale internazionale. Un colpo basso a tutti gli effetti (forse ispirato dalla sempre attiva ambasciata americana a Beirut) se si tiene conto che Saad Hariri, il leader dei partiti di governo che ha consegnato la richiesta all’Onu, era impegnato in colloqui con Berri volti proprio a raggiungere un compromesso accettabile da tutte le forze politiche.
La speranza è che i sauditi, vicini ad Hariri ma apparentemente decisi ad evitare un confronto violento tra musulmani sunniti e sciiti in Libano, riescano con la loro mediazione a portare le parti ad una intesa, tenendo fuori dalla stanza dei colloqui le pressioni americane da un lato e quelle di Siria e Iran dall’altro. L’impasse politica sul tribunale dura ormai da quattro mesi. A novembre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, su insistenza di Washington e Parigi, aveva approvato una risoluzione che dava luce verde alla creazione del tribunale e aveva rinviato il testo al Libano per la ratifica. Berri però si è rifiutato di convocare la seduta del Parlamento sostenendo che il governo Siniora è «illegittimo» dopo le dimissioni dei cinque ministri dell’opposizione avvenuta lo scorso anno.
La questione del tribunale internazionale è al momento il principale fattore della crisi libanese. Se da un lato è legittimo chiedere che vengano individuati e puniti con severità autori materiali e mandanti dell’assassinio di Hariri, dall’altro non si capisce perché la magistratura libanese non possa svolgere il suo ruolo e sia necessario invece istituire un tribunale internazionale. Berri, Hezbollah e gli altri partiti dell’opposizione sostengono che a volere la corte internazionale siano gli Usa e altri paesi interessati non a fare giustizia ma a mettere sul banco degli imputati la Siria (e l’Iran) che i partiti del governo Siniora ritengono responsabili dell’uccisione di Hariri. Non solo ma la maggioranza insiste anche affinché la formazione del tribunale avvenga sotto il capitolo settimo della Carta dell’Onu, che autorizza il ricorso alla forza. «Seguire quella strada rappresenterebbe un’aggressione contro il Libano», ha avvertito Naim Kassem, il vice segretario generale di Hezbollah.
Intanto mentre la crisi politica attende ancora una soluzione, la ricostruzione del sud del paese, duramente colpito dai bombardamenti israeliani della scorsa estate, continua a passo lento e l’allarme mine e bombe a grappolo rimane elevato. Secondo le previsioni del «Comitato nazionale per lo sminamento», le operazioni per rimuovere gli ordigni inesplosi saranno portate a termine non prima del 2011. Tra luglio e agosto dello scorso anno l’aviazione israeliana ha riversato sul sud del Libano oltre un milione di bombe a grappolo, che da allora hanno causato almeno 224 vittime, tra cui 29 civili che hanno perso la vita dopo la fine del conflitto, il 14 agosto. Sono almeno 155 i villaggi interessati da ordigni inesplosi, molti dei quali risalgono al periodo dell’occupazione israeliana del sud del paese.