«Un coltello nella schiena» di Israele. Così ieri il ministro israeliano dell’educazione, Meir Sheetrit, ha definito la decisione del presidente russo Vladimir Putin di aprire un canale di comunicazione con il movimento islamico Hamas, vincitore delle elezioni palestinesi del 25 gennaio. Simili le considerazioni del ministro degli esteri Tzipi Livni che ha messo in guardia dal «pendio scivoloso», cioè la tendenza di «alcuni membri della comunità internazionale» a fare compromessi con Hamas che non riconosce l’esistenza dello Stato ebraico. Le proteste israeliane e le «richieste di spiegazioni» degli Stati uniti tuttavia non hanno spinto Mosca a fare marcia indietro, anzi la mossa di Putin comincia a raccogliere consensi, a cominciare da Parigi. Il portavoce del ministero degli esteri francese ha detto che l’iniziativa russa «può contribuire a far avanzare le nostre posizioni» adottate all’interno del quartetto (Stati uniti, Russia, Ue ed Onu). La Francia, ha aggiunto, condivide con la Russia «l’obiettivo di portare Hamas verso posizioni che permettano di raggiungere l’obiettivo di due stati capaci di vivere in pace e in sicurezza». Come molti avevano previsto già giovedì sera, il passo compiuto da Putin ha rotto il fronte che Stati uniti e (una meno convinta) Unione europea avevano creato contro Hamas arrivando a minacciare il blocco dei finanziamenti (600-700 milioni di dollari) all’Autorità nazionale palestinese, in linea con la posizione israeliana.
Putin invece ha raccolto la cauta approvazione anche della comunità ebraica russa. Il rabbino capo di Mosca, Berl Lazar, ha detto che «quelli di Hamas non sono amici ma veri e propri nemici, ma ciò non esclude del tutto la necessità di tener presente l’opinione di questo male inevitabile e, come minimo, cercare di chiarire le loro posizioni per il prossimo futuro». Lazar successivamente ha in parte fatto marcia indietro (forse dopo aver ricevuto una telefonata di protesta da Israele) e ha precisato che i leader di Hamas dovrebbero essere invitati a Mosca solo dopo aver riconosciuto Israele.
L’iniziativa di Putin però è ormai avviata e, secondo la televisione satellitare araba al Jazeera, l’invito ufficiale a partire per la Russia i dirigenti del movimento islamico lo ricevanno tra qualche giorno. Di fronte alla chiusura di ogni dialogo con Hamas sino a quando non riconoscerà Israele, deciso da Usa ed Europa, Mosca è entrata in azione con l’intento evidente di recuperare in Medio Oriente almeno una parte di quel ruolo di primo piano perduto con la fine dell’Unione sovietica.
«Il 2005 è stato un anno importante per le ambizioni della Russia in Medio Oriente e il 2006 potrebbe essere decisivo per i piani di Putin, desideroso di ridare al suo Paese il prestigio e il potere perduti, alla luce anche del ruolo che Mosca sta svolgendo nelle crisi Iran-Occidente e Siria-Libia», ha previsto la giornalista russa ed esperta di strategia politica Marianna Belenkaya. «La Russia ora ha la presidenza di turno del G8 in una fase in cui la sicurezza internazionale rimane al vertice dell’agenda dei paesi più sviluppati e non dimentichiamo che lo scorso anno ha anche ottenuto un seggio di Paese osservatore alla Conferenza dei Stati islamici. Già questi due dati pongono il Cremlino in una posizione favorevole nei movimenti che riguarderanno il futuro della regione mediorientale».
Secondo Belenkaya «armi, energia, prodotti ad alto contenuto tecnologico sono un affare da miliardi di dollari e se si tiene presente che in Medio Oriente anche la corsa agli armamenti non ha mai sosta, il presidente russo attraverso la diplomazia può anche favorire la crescita economica del suo Paese». La presenza nella Federazione russa di 12 milioni di musulmani pone Mosca in una posizione di vantaggio rispetto ad altri Paesi nei rapporti con il mondo islamico, nonostante la guerra sanguinosa che porta avanti in Cecenia contro i separatisti musulmani.