Solo le guerre perse sono un crimine

«Lamassima pena», chiede il pubblico accusatore di Baghdad, e non potrebbe essere altrimenti. Saddam Hussein finirà sulla forca come presidente o davanti al plotone d’esecuzione come capo delle forze armate, per questo o un altro delle dozzine di capi d’imputazione che incombono su di lui: avversari soppressi, sciiti massacrati, kurdi gasati, il campionario è vasto, l’assenza di armi di distruzione di massa – radice emotivo della guerra che lo ha visto soccombere – un dettaglio insignificante. Corda o fucile insomma, due diversi accenti dell’infamia, perfettamente coincidenti sul piano del risultato: certificare con il corpo del vinto la manifesta superiorità dei vincitori, celebrarne l’ira. Hussein non è una vittima innocente, è stato despota e un assassino. Ma il suo processo ha poco a che fare con la giustizia. Le guerre non sono crimini internazionali, come gli ultimi decenni si sono incaricati di spiegarci con dovizia di sangue e di particolari. Lo sono le guerre perse ed è ciò che va in scena a Baghdad. Non è il caso di scomodare Norimberga: era un secolo fa, era un tribunale internazionale e dietro alla sbarra c’era mezzo pianeta, il satrapo della Mesopotamia è stato la spietata caricatura di un dittatore e il nazionalsocialismo un’efferata mutazione genetica dell’umanità. I patiboli non si contanoma si pesano, come le vittime di guerra e la gente nelle manifestazioni. Quello per i gerarchi e quello per il rais non si somigliano neanche un po’. Saggezza,moderazione e misericordia non informano il comportamento di un vincitore potente a cui interessa cancellare il corpo fisico del vinto, e non è nemmeno il caso di chiedere spazio a sentimenti diversi dalla vendetta. La pietà è come il coraggio, uno non se la può dare. Il rais iracheno è stato braccato come un coniglio e catturato in fondo al celebre cunicolo, i suoi figli cacciati come belve, i corpi esposti allo scherno dei cacciatori. Erano assassini, un tempo persino amici dei loro carnefici. Ma chimetterà a Saddam la corda al collo non chiuderà una partita con la storia. Ne aprirà semmai un’altra, e non è detto che sia migliore.