Soldi Usa e sauditi ad al Qaeda. Cheney copia l’Iran-Contra

I recenti attentati in Algeria e in Marocco, insieme all’attacco al Parlamento iracheno, hanno colto tutti di sorpresa. Come è possibile che, dopo sei anni di guerra al terrore, la rete di Al Qaeda sia riuscita a riorganizzarsi in modo così efficiente da arrivare perfino dove non era mai stata presente? Si può trovare una risposta in un dettagliato articolo scritto per il New Yorker da Seymour Hersh, mostro sacro del giornalismo americano (quello, per intenderci, che denunciò il massacro di My Lai). All’inizio del marzo scorso Hersh denunciava i pericoli della nuova strategia segreta dell’amministrazione Bush che punta a fomentare il conflitto fra i sunniti e gli sciiti, minoranza nel mondo musulmano ma predominanti in Iran e in Iraq e presenti anche in Arabia Saudita, proprio nelle regioni più ricche di giacimenti petroliferi.
La disastrosa guerra irachena, com’è noto, è riuscita a trasformare uno degli stati più laici del mondo arabo in un paese prono agli interessi della maggioranza religiosa – appunto gli sciiti – guidato da un premier sciita con forti collegamenti con l’Iran, quel Nuri al-Maliki messo a capo del governo proprio per cercare di guadagnarsi i favori di gruppi armati come le brigate di Moqtada al-Sadr, leader religioso passato in pochi mesi da “nuovo Bin Laden” a decisivo sostenitore del governo iracheno. Il cambio di strategia di cui parla Hersh è stato avviato dall’amministrazione proprio per coprire il proprio fallimento in Iraq ma, come avvertiva il giornalista all’inizio di marzo, rischia di rafforzare i fondamentalisti vicini ad Al Qaeda che, sia con le bombe che con le scomuniche, hanno da tempo dichiarato guerra agli “apostati” sciiti. «In Libano l’Amministrazione ha cooperato con il governo dell’Arabia Saudita, che è sunnita, in operazioni clandestine che avevano lo scopo di indebolire gli Hezbollah, l’organizzazione sciita sostenuta dall’Iran. Gli Usa hanno anche preso parte a operazioni clandestine che prendevano di mira l’Iran e il suo alleato, la Siria», scriveva Hersh citando fonti autorevoli del Pentagono e dei servizi di intelligence, preoccupati per l’ennesima disinvolta trovata degli apprendisti stregoni che siedono alla Casa Bianca.
L ‘idea della cricca Bush ricalca, più in grande, la triangolazione che ha portato alla nascita di Al Qaeda nell’Afghanistan occupato dai sovietici, ed è portata avanti dal Vice-presidente Cheney, dal consigliere per la sicurezza nazionale Elliott Abrams, dall’ex-ambasciatore statunitense in Iraq, Zalmay Khalizad e dal principe Bandar bin Sultan, consigliere per la sicurezza nazionale dell’Arabia Saudita. A Condoleeza Rice il compito di gestire la parte pubblica – ovvero l’offensiva mediatica contro l’Iran – mentre Cheney si occupa delle operazioni coperte gestite fuori budget, secondo il copione sperimentato ai tempi dello scandalo Iran-Contras. Hersh suddivide la genesi di questa nuova strategia in quattro momenti fondamentali. Prima di tutto Washington ha stretto i legami fra Israele e i sunniti “moderati” (fra i quali la Casa Bianca continua a tenere l’Arabia Saudita malgrado l’11 settembre e la teocrazia che la governa) in chiave anti-sciita e anti-iraniana. Poi i sauditi hanno cominciato a esercitare pressioni su Hamas per spingerla a tagliare ogni legame con l’Iran e per avviare seri colloqui con Fatah – da cui gli incontri di febbraio alla Mecca. In terzo luogo l’amministrazione Bush, direttamente o utilizzando i soldi sauditi, ha cominciato a finanziare ogni gruppo, per quanto estremista, che faccia della lotta interreligiosa la propria missione. Infine, mentre partiva l’offensiva mediatica contro le ambizioni nucleari dell’Iran e contro il presunto sostegno di Tehran alla resistenza irachena, le truppe di occupazione arrestavano gli iraniani presenti in Iraq. Per questo motivo la cattura dei marinai inglesi è stata considerata da numerosi commentatori internazionali come un abile tentativo iraniano di ottenere la liberazione dei propri diplomatici, in seguito puntualmente avvenuta.
Inutile dire che gli stati mediorientali moderati sono terrorizzati. Il principe Bandar, forte della sua relazione con gli americani (in particolare con la famiglia Bush) cerca di rassicurare gli alleati: i sauditi «dicono che terranno d’occhio da vicino i fondamentalisti religiosi» ha dichiarato un consulente del governo Usa intervistato da Hersh «In sostanza il loro messaggio è: “Noi abbiamo creato questo movimento, noi possiamo controllarlo”. Insomma non è che non vogliamo che i salafiti buttino le bombe; è contro chi le buttano che è importante: Hezbollah, Moqtada al-Sadr, l’Iran e i siriani, se continuano a lavorare con Hezbollah e Iran)». Così gruppi come i salafiti o la Fratellanza musulmana, nata in Egitto negli anni Venti e praticamente decimata con il pugno di ferro, possono risorgere dalle ceneri grazie a una trasfusione di dollari che raggiungono anche una miriade di gruppi piccoli ma agguerriti, con fortissimi legami ideologici con Al Qaeda. Alistar Crooke, ex agente dell’intelligence britannica consultato dal giornalista statunitense, sottolinea i rischi della nuova strategia: «Fatah al-Islam, un gruppo sunnita estremista presente in Libano, si è scisso in due tronconi, uno filo-siriano e l’altro filo al-Qaeda. Questi ultimi mi hanno assicurato che nell’arco di 24 ore gli sono state offerte armi e soldi da persone che si sono qualificate come rappresentanti degli interessi del governo libanese». Nel frattempo risulta che sono stati contattati anche alcuni membri autorevoli della Fratellanza musulmana siriana che, da più di vent’anni, cerca senza successo di fondare uno stato confessionale in Siria.
Il richiamo allo scandalo Iran-Contra non è casuale. Anche allora vennero utilizzati fondi neri e servizi deviati per non dover riferire al Congresso – mentre le operazioni sotto copertura gestite dalla Cia vanno, per legge, approvate dal parlamento – sul progetto di finanziare azioni terroriste contro il legittimo governo sandinista del Nicaragua con soldi provenienti dalla vendita illegale di armi all’Iran. Stessa architettura finanziaria e stessi attori – il principe Bandar e Elliott Abrams, solo per citare i più noti – ma molti, molti più soldi. Secondo un consulente del Pentagono attualmente «ci sono moltissimi fondi neri sparpagliati ovunque e utilizzati per una gran varietà di missioni in tutto il mondo». Il caos del bilancio iracheno, fa notare Seymour Hersh, «dove miliardi di dollari sono spariti nel nulla, è il veicolo perfetto di tali transazioni, come mi hanno spiegato un ex funzionario dell’intelligence e un generale a quattro stelle in pensione». Un altro ex consulente, stavolta del National Security Council, è ancora più preciso: «Siamo tornati all’Iran-Contra, e stanno cercando in tutti i modi di tenere l’Agenzia all’oscuro». Non solo il Congresso non è stato informato della piena estensione delle operazioni condotte con i sauditi ma, secondo l’ex-consulente, la stessa Cia è tagliata fuori: «L’Agenzia non fa che chiedere cosa sta succedendo, ma nessuno risponde. Sono preoccupati, perché pensano che sia arrivata l’ora del dilettante».