SIRIA: Damasco apre all’Onu

«Mandateci gli ispettori, ma il vero pericolo è Israele»
Obiettivo Golan Lo scopo inconfessabile della campagna Usa è spingere la Siria a rinunciare ai territori occupati dal 1967 dallo stato ebraico

GERUSALEMME
Anche l’Egitto, oltre alla Turchia, prenderà parte venerdì prossimo al vertice promosso dall’Arabia saudita con i ministri degli esteri dei paesi confinanti. Ma ieri sera era ancora molto vaga l’agenda di questo summit post-Saddam Hussein e non si avevano notizie precise sugli altri partecipanti invitati dal ministro degli esteri saudita, Saud al Faisal. Tutti si chiedono se la difesa della Siria dall’offensiva di accuse americane sarà il tema dominante dell’incontro o se invece i partecipanti discuteranno soltanto del futuro dell’Iraq occupato da statunitensi e britannici. Le prime indicazioni, davvero poco confortanti per Damasco, sono venute ieri dai colloqui al Cairo tra il presidente egiziano Hosni Mubarak e re Abdallah di Giordania che si sono tenuti a distanza dal confronto acceso tra Usa e Siria sul quale soffia sempre più forte Israele. Egitto e Giordania chiedono il ritiro di tutte le forze straniere dall’Iraq e la creazione di un governo iracheno «designato dal popolo, che rappresenti tutti gli strati della popolazione e sia capace di mantenere l’unità territoriale del paese». Lo hanno detto i ministri degli esteri Ahmed Maher (egiziano) e Marwan Moasher (giordano) durante la conferenza stampa alla fine dell’incontro tra Mubarak e re Abdallah, che hanno anche discusso in audioconferenza dal Cairo con il presidente palestinese Yasser Arafat degli sviluppi della «road map», l’iniziativa diplomatica sponsorizzata dal «Quartetto» (Usa, Russia, Ue e Onu). E il sostegno alla Siria? Damasco non si fa illusioni, ha già compreso che i «fratelli arabi» saranno i primi a tirarsi indietro di fronte al prevedibile aumento della pressione americana sulla questione delle armi chimiche. Sa che dovrà manovrare, sostanzialmente da sola, per aggirare l’attacco di Washington. Butheina Shaaban, portavoce del ministero degli esteri di Damasco, ha detto che, se la comunità internazionale nutre timori allora dovrebbe rivolgere le proprie attenzioni verso Israele, unico paese del Medioriente ad essere in possesso di ordigni nucleari. «Per noi da questo punto di vista non ci sarebbero problemi», ha risposto la portavoce quando le è stato chiesto se il suo governo sarebbe disposto ad accogliere una squadra di ispettori sul disarmo. «Credo che invece Israele i problemi li avrebbe ad accettare un’idea di questo genere – ha aggiunto – per quanto ci riguarda non vediamo l’ora che il Medioriente venga liberato dalle armi di distruzione di massa». Ma la pressione di Washington continua. Bush e i suoi consiglieri di estrema destra sono convinti che la Siria, isolata e circondata da vicini alleati degli Stati uniti, finirà per capitolare. Non lo dicono apertamente ma uno degli obiettivi di questa nuova campagna mediatica è quello di indebolire Damasco fino a costringerla a rinunciare ai suoi diritti sulle alture del Golan occupate da Israele nel 1967.

Tutte queste pressioni puntano anche a costringere i governanti siriani a ritirare il loro sostegno ai gruppi di guerriglia anti-israeliani, in particolare gli Hezbollah libanesi. E infatti Israele ieri è tornato pesantemente alla carica. Da Ankara, dove è in visita ufficiale, il ministro degli esteri israeliano Silvan Shalom ha lanciato accuse durissime alla Siria. Il ministro della difesa Shaul Mofaz, invece, in una intervista al quotidiano Maariv, che sarà pubblicata per esteso domani, ha intimato ai siriani di rimuovere la «minaccia» degli hezbollah dal Libano del sud e di provvedere a chiudere gli uffici di Hamas e del Jihad Islami a Damasco. La stampa israeliana è stata arruolata in questa offensiva. Zeev Schiff, l’esperto militare del quotidiano (sempre meno progressista) Haaretz, ha addirittura scritto che Assad potrebbe puntare a una «libanizzazione» dell’Iraq. La ciliegina sulla torta è stata messa dall’ex capo del Mossad, Dany Yatom, secondo il quale la Siria rappresenterebbe una minaccia per la stabilità internazionale non dissimile da quella rappresentata dal regime di Saddam Hussein. «Se la sorte della Siria sarà analoga a quella dell’Iraq – ha detto Yatom – noi israeliani ne ricaveremo un notevole giovamento».