Profondo rimpasto del governo siriano, con un avvicendamento ai vertici di alcuni ministeri chiave e nello stesso più diretto entourage del presidente: è con tutta evidenza la risposta di Bashar el Assad alle rinnovate accuse e pressioni americane (tre giorni fa era stata la stessa Condoleeza Rice a sostenere che «il mondo deve alzare la voce contro Damasco», accomunata in questo a Teheran), ma è anche in una certa misura un tentativo di rimettere in nota quel cauto processo di riforme che lo stesso Bashar aveva esplicitamente rilanciato nel giugno scorso al congresso del partito Baas, il primo dopo la sua ascesa al vertice dello Stato. Un processo riformatore stretto tra le forche caudine della resistenza della “vecchia guardia” all’interno e della “crociata” di George Bush sul piano esterno e reso ancora più difficile dai contraccolpi sia delle drammatiche vicende libanesi sia della guerra in Iraq. Fra i ministeri rinnovati ci sono quelli degli Esteri, dell’Interno, delle Informazioni e del Petrolio, mentre rimangono inalterati gli incarichi della Difesa e di primo ministro, quest’ultimo peraltro sostanzialmente formale visto che la direzione effettiva della politica siriana è nelle mani del presidente. La nomina più rilevante, anche dal punto di vista mediatico, è quella di Faruq al Shara, fino a ieri ministro degli Esteri, all’incarico di vice-presidente, di fatto al posto di Abdel Halim Shaddam che ha rotto l’anno scorso con Assad ed ora dal suo esilio di Parigi spara a zero contro il regime dopo essere stato per decenni uno dei suoi pilastri.
Faruq al Shara, 68 anni, rappresenta nel governo siriano un elemento di continuità, essendo titolare della politica estera dall’inizio degli anni ’80. E’ dunque una figura di notevole notorietà internazionale, anche se ha sempre evitato di mettersi in mostra; sposato, con due figli, è originario della provincia meridionale di Deraa, sul confine giordano, ed è musulmano sunnita ma laico. E’ stato ambasciatore in Italia per cinque anni dal 1976 al 1980; rientrato in patria, venne nominato ministro di Stato per gli affari esteri per diventare poi quattro anni dopo titolare effettivo della diplomazia siriana, mentendo ininterrottamente l’incarico fino ad oggi. Anche come vice-presidente proseguirà questo suo impegno: l’agenzia ufficiale Sana, nel dare notizia della nomina, ha scritto infatti che Al Shara «svolgerà compiti di politica estera e informazione nell’ambito delle istruzioni fornite dal presidente» (sostanzialmente una trafila analoga a quella del già citato Khaddam, passato nel 1984 dagli Esteri alla vice-presidenza e che per vent’anni è stato il gestore assoluto della politica di Assad padre in Libano). Il posto di Al Shara al ministero degli Esteri è stato assunto del resto dal suo vice-ministro Walid al Moualem. Merita di ricordare che nel febbraio 2002 Bashar el Assad compì qui in Italia la prima visita ufficiale di un capo di Stato siriano nel nostro Paese, e non vi è dubbio che dietro quella scelta ci fosse la mano di Al Shara. Abile diplomatico, ma capace di prendere posizioni anche assai ferme, il nuovo vice-presidente si è trovato nei mesi scorsi in polemica con la Commissione dell’Onu per l’inchiesta sull’assassinio dell’ex-premier libanese Rafiq Hariri, per il quale ha sempre recisamente negato la responsabilità del suo governo; la commissione ha chiesto di poterlo ascoltare. In Siria i vice-presidenti sono due, l’altro – già in carica – è Zuhair Mashaqa.
Fra le alte nomine ce n’è ancora una che riguarda indirettamente l’Italia ed è quella del nuovo ministro delle Informazioni Mohsen Bilal, medico laureato nel nostro Paese al quale è rimasto culturalmente legato; è stato in passato presidente dell’Assemblea del popolo (la Camera siriana) e il suo ultimo incarico è stato quello di ambasciatore di Siria in Spagna. Le ulteriori nomine sono quelle di Sofian Allau come ministro del Petrolio e di Bassam Andel Majid, alto funzionario della sicurezza, a ministro degli Interni in sostituzione di Ghazi Kanaan, morto il 22 ottobre scorso ufficialmente per suicidio dopo essere stato dal 1982 al 2002 capo dei servizi militari siriani in Libano. Come si vede, da qualunque parte la si giri l’intreccio profondo tra la Siria e il Paese dei cedri viene sempre alla ribalta, direttamente o indirettamente. In questo senso gli avvicendamenti verificatisi ieri a Damasco potrebbero segnare un elemento di continuità ma anche, al tempo stesso, una rottura con certi metodi, e con certi uomini, del passato. Alle assise di giugno 2005 del Baas il presidente Bashar aveva detto che «dall’ultimo congresso (svoltosi nel 2000 ancora all’insegna di Assad padre, ndr) ci sono stati molti cambiamenti nella regione ed è necessario affrontare in modo coraggioso e ragionevole gli sviluppi della situazione». Il rimpasto vorrebbe andare in questa direzione e probabilmente anche tener conto dell’altra esigenza che affermava Bashar, quella cioè di «sostenere le riforme e allargare la partecipazione popolare». Resta da vedere se non sia troppo tardi, ovvero se Bush da fuori e l’opposizione da dentro gliene lasceranno il tempo.