Sinistra, si può, si deve

La sfiducia verso la politica, ma sarebbe più corretto dire verso i partiti e le istituzioni, è esplosa in questi ultimi mesi, attraversando ceti deboli quanto settori colti della pubblica opinione. I sintomi c’erano tutti, prima e dopo il fenomeno Grillo. Ad agosto, ad esempio, Epifani aveva parlato di “diciannovismo”. Quale è la tua opinione su questa materia?
Chi ha aspettato Grillo per accorgersene è, a dir poco, un ritardatario. Da tempo sto dicendo che la politica italiana è caduta in un pantano. Non c’è dubbio che l’opinione pubblica è dominata da una grande sfiducia e che la critica ai partiti, al loro modo di essere si fa ogni giorno più bruciante. Tuttavia io non chiamerei tutto ciò antipolitica. Questo è un termine fariseo che è stato inventato a bella posta dai responsabili dell’attuale degrado, a partire dalla grande stampa, per nascondere le vere responsabilità. In realtà l’opinione pubblica non è contro la politica in generale – eventualità che sarebbe da condannare – ma è contro una certa politica. Quando in Sicilia non si volevano colpire i veri mafiosi si diceva che tutto era mafia. Oggi ogni critica severa viene presentata come antipolitica. Poi gli stessi analisti che per mesi ci hanno asfissiato con l’antipolitica si esaltano per le primarie, per la riuscita manifestazione di Fini e per la splendida giornata rossa del 20 ottobre. Milioni di uomini e di donne hanno calcato, in modi diversi, la scena della politica. Se si guarda bene dentro tali fenomeni si vedrà che ciascuno di questi eventi ha semplicemente reclamato un’altra politica. Quella che io chiamo, una riforma della politica. E allora si capirà che Grillo non è la malattia ma la febbre che registra la malattia.
Che poi questo tipo di febbre possa piacere o no è un fatto del tutto secondario.

La fusione democratica e l’incoronazione di Veltroni sono ormai alle nostre spalle. Il Pd va, insomma, ma verso dove?
Verso il centro. Lo si vede ad occhio nudo. Alcuni hanno ancora bisogno di strumenti più sofisticati per accorgersene, anche perché il polverone che ammanta questo nuovo partito è ancora molto spesso.
Rinnovo a Veltroni i miei auguri, anche perché lo stimo, a differenza di molta nomenclatura dei nostri giorni, come uomo umanamente e politicamente onesto. Ma temo che una parte del vecchio gruppo dirigente, in gran parte squalificato e alle prese con gravi problemi, lo abbia chiamato alla ribalta come ultimo escamotage per non affrontare la via più ardua di una severa autocritica. Ora Walter deve fare attenzione a non rimanere prigioniero dei vecchi apparati, che temo siano pronti a mettere sul suo cammino nuove trappole. Ma rimane soprattutto la grande incognita della linea politica: sarebbe sbagliato coprire con il leaderismo e l’indeterminatezza dell’immagine le contraddizioni del reale, la fatica e il coraggio delle scelte, la necessità di dire da che parte si sta.

Prodi e Veltroni sono ormai “due semi-premier”: che futuro prevedi per il governo di centrosinistra? E sulla legge elettorale che accadrà?La futurologia è una materia nella quale non mi sento preparato. Soprattutto per una ragione semplicissima, che rispetto al passato, i comportamenti sono sempre meno coerenti, i contendenti non combattono più con regole fisse e certe e i capricci personali e di piccoli gruppi sembrano tenere in ostaggio tutta la vita politica. Comunque, al di là delle previsioni, occorre prendere atto del fatto che in realtà il centrosinistra non aveva vinto le elezioni: le aveva pareggiate. In questi casi sarebbe meglio mostrarsi meno boriosi o, semplicemente, meno attaccati al potere. Ciò vuol dire che invece di cercare di resistere alla cieca occorreva avere un piano per ritornare al più presto davanti all’elettorato, cercando di rafforzare l’Unione e il grande ulivo, invece di lanciare nel cuore dell’alleanza la bomba destabilizzante del partito democratico. La nuova legge elettorale sarà decisa prevalentemente dai desiderata di Berlusconi. Spero che sia una legge che favorisca l’aggregazione della sinistra e scoraggi la polverizzazione dei partitini.

L’Unione come progetto e soggetto politico è la più illustre vittima di questo scorcio di legislatura. Chi porta la maggiore responsabilità dell’affossamento dell’alleanza di “vecchio conio”?
È un lungo calvario quello dell’Unione. È iniziato con la crisi del primo governo Prodi, è continuato attraverso le sofferte stazioni della riabilitazione della vecchia partitocrazia, degli inciuci istituzionali e non solo con Berlusconi, del riaffermato primato di ciascun partito sulle sorti dell’Ulivo ed è finito con l’inganno, dopo averlo ucciso, della resurrezione come ulivo bonsai nel simbolo di una sola parte dell’Unione. Cioè con l’inganno di averlo fatto rinascere come partito, con la benedizione di alcuni ulivisti inconsapevoli che hanno, senza accorgersene, segato il ramo su cui stavano seduti finendo per cadere, nelle varie regioni, nelle braccia dei vecchi apparati.

La fusione rossa segna il passo. Scarsa generosità dei vertici e poco entusiasmo nella rispettive basi. Questo dice il termometro dei rapporti a sinistra. Sul quartetto Sd, Prc, Verdi e Pdci pesano una buona dose di incertezza sui contenuti, lo scarso coinvolgimento della società civile che guarda da questa parte, infine i vecchi vizi dei ceti politici. Quanto condividi questa analisi?
Purtroppo mi vedo costretto a condividerla quasi totalmente. Non si è ancora capito che il Pd lascia un vuoto a sinistra che però non determina in modo automatico uno spazio a sinistra. La voglia di sinistra richiede una energia positiva e un lavoro teorico e pratico capace di dimostrare l’esigenza attuale di una nuova sinistra. Ma per fare questo occorre il coraggio di andare oltre le vecchie appartenenze. Mi preoccupa la levata di scudi contro chi dentro quel partito aveva autorevolmente detto che occorreva andare oltre rifondazione comunista. E invece bisogna andare oltre, uscire dalle vecchie trincee.
Ed è del tutto evidente che non si tratta di fondare un partito comunista e nemmeno un partito socialista, ma di dar vita a quella che sarebbe la vera novità della politica italiana: dar vita alla sinistra.
L’unità a sinistra non può esser la sommatoria degli attuali partiti, ma un nuovo soggetto unitario, democratico, moderno e plurale. Dinnanzi alla riaggregazione moderata non si può stare fermi, o limitarsi a contrapporle una federazione di partitini simile a un cartello elettorale. No: occorre prendere decisamente in mano la bandiera della unificazione a sinistra, senza commettere gli stessi errori del Pd, senza fusioni fredde di apparati, con aperture a nuovi soggetti associativi, con la ricerca di personalità esterne agli attuali gruppi dirigenti di partito, soprattutto attraverso una vera costituente delle idee. Il motto deve essere prima i contenuti e poi il contenitore. E su questo fare le vere primarie.

All’indomani della manifestazione del 20 ottobre, ora si parla di Federazione, di Stati generali, di cartelli elettorali. E’ già troppo o ancora troppo poco per l’unità della sinistra?
Quella manifestazione è stata grandiosa. Io ho gioito per la sua riuscita. Adesso ne vorrei vedere una ancora più grande con una sola bandiera:quella della sinistra. Gli stati generali non devono essere preparati e annunciati solo dai segretari dei partiti. Esiste anche un forum delle associazioni che da anni si batte per arrivare al traguardo di una sinistra unitaria e plurale. I suoi rappresentanti, assieme ad alcune personalità delle diverse grandi ispirazioni culturali della sinistra, non dovrebbero essere chiamati dopo, come hanno fatto con scarso successo quelli del Pd, ma devono compartecipare alle prime decisioni.

Puoi indicarci due/tre priorità, sia come valori che come terreni di impegno, che possono identificare e qualificare oggi la sinistra del XXI secolo?
Prima di tutto una nuova sinistra plurale, moderna, unitaria deve essere laica. E deve avere una identità alternativa all’attuale modo di essere della politica e all’attuale modello di sviluppo.
La sinistra radicale in alcuni casi ha sottovalutato la questione morale nel nome della priorità del sociale. Ma esiste un evidente legame tra le due questioni. Per questo dobbiamo dare voce al grido di dolore che sale dal paese. Essenziale è il modo di essere di una nuova sinistra; della sua concezione della politica e delle regole.
Se i politici invece di stare al di sopra del mercato dettandone le regole fanno corpo con questa o quella cordata si arriva a costruire una economia neofeudale.
Ma per la sinistra la riforma della politica deve essere accompagnata dalla riforma della società, a partire dalla ripresa di un pensiero critico del capitalismo che sostituisca l’attuale cultura dogmatica del pensiero unico monetaristico. La sinistra non può limitarsi ai problemi della redistribuzione – oltretutto ampiamente insoddisfacente – ma deve incominciare a porsi l’obiettivo del cambiamento del modello di sviluppo, del modo di consumare e di produrre, al cui centro si colloca una visione strutturale dell’ambiente e della salvaguardia del pianeta dalla sua distruzione. Visione strutturale che non può non essere accompagnata che da un pacifismo integrale e dal progetto del disarmo generale.
Sono questi solo alcuni dei “fondamentali” sui cui aprire una costituente delle idee attraverso delle primarie sui contenuti che rendano effettiva una sincera fase di ascolto della società.
È anche questo il modo di contrapporre alla mera partecipazione mediatica una partecipazione consapevole di uomini e donne pensanti.