Sinistra in tempo di guerra

Il voto “bipartizan” tra una parte dell’Ulivo e l’attuale maggioranza di governo sull’intervento americano in Afghanistan potrà avere conseguenze molto gravi sui rapporti a sinistra e nel centrosinistra. Se ora non si tengono i nervi saldi e non si lavora a ricucire gli strappi provocati non solo nell’opposizione parlamentare ma tra una parte di essa e il pacifismo, questi possono diventare irreversibili. E la destra gode.
L’Afghanistan è sotto i bombardamenti ormai da giorni. A quasi un mese dal terribile attacco terroristico agli Stati Uniti la risposta militare a lungo pensata e preparata alla fine è arrivata. Ma il lungo lavoro diplomatico e di intelligence che l’ha preceduta non sembra aver partorito soluzioni militari molto diverse da quelle che gli strateghi americani hanno saputo pensare per la guerra del Golfo e quella per il Kossovo: bombardamenti a tappeto che, se non hanno per obiettivo la popolazione civile, la espongono a rischi altissimi, l’Alleanza del Nord al posto dell’Uck, il pericolo di più aspri conflitti interetnici e tribali.
Ciò che è in discussione non è l’uso della forza contro il terrorismo, e nemmeno la legittimità a intervenire militarmente in Afghanistan. Ma appare tragicamente sbagliato il modo in cui lo si sta facendo. La preoccupazione è che la strada intrapresa alimenti il male invece di curarlo. Quando si ricorre alla guerra gli sviluppi prevedibili sono completamente diversi da quelli prodotti da una sia pur determinata azione di polizia internazionale: vittime innocenti si aggiungono a quelle perite nelle Torri Gemelle, i conflitti regionali possono essere esaltati, il fondamentalismo vede crescere il suo spazio.
Come uscire da questa spirale che sembra a molti anche a sinistra priva di alternative, se non si vuole rinunciare a colpire i responsabili dell’enorme crimine perpetrato l’11 settembre contro l’umanità? Rimettere tutti gli interventi, anche quelli militari, in tempi ragionevoli nelle mani dell’Onu può essere la soluzione. E dopo questa prima, discutibile, risposta al terrorismo, sarebbe utile aprire un confronto sulla transitorietà delle misure adottate e sul fatto che esse debbano essere al più presto riassorbite (compreso il ricorso all’art. 5 del Trattato Nato) in un’azione di potenziamento del ruolo dell’Onu. Il problema infatti è proprio questo: non si tratta per l’Onu di ratificare solo ex-post gli interventi compiuti ma di darsi gli strumenti per gestire direttamente la lotta al terrorismo. A un’organizzazione internazionale del terrore qual è quella che scesa in campo bisogna contrapporre una potestà effettivamente sovranazionale.
Da tutte le parti si sostiene che dopo l’11 settembre il mondo è cambiato. Sarebbe più corretto dire che è destinato a cambiare, perché il mondo non cambia in un sol giorno. Il che vuol dire che diverse alternative sono in campo. Qual è quella che la sinistra fa sua e per cui concretamente opera a partire da oggi? Il terrorismo internazionale e i varchi enormi che ha trovato per la sua azione di morte ci hanno posto di fronte a una drammatica evidenza. Il mondo che ereditiamo dalla grande svolta dell’89 non funziona. Innanzitutto non funziona il ruolo che gli Stati Uniti sono stati costretti ad assumere dopo la caduta del Muro di Berlino. Gli Usa sono rimasti ormai l’unica “superpotenza” ma senza che ciò si sia accompagnato alla costruzione di una vera egemonia su scala mondiale. Sono perciò “impero” ma senza un ruolo imperiale riconosciuto dalla maggioranza degli abitanti di questo pianeta. Con la fine del comunismo, l’antimericanismo è aumentato nel mondo, non diminuito. Da qui sono derivate da parte dell’Occidente molte scelte discutibili. Ad esempio, pensare alla Nato come a un braccio militare che dovrebbe intervenire su scala mondiale per sedare con la forza i molteplici conflitti regionali, non aiuta il confronto necessario a trovare soluzioni positive ma può esasperarli. Insomma, il mondo nato dalle ceneri del bipolarismo est-ovest non ha funzionato perché non è riuscito a porre riparo al nuovo disordine mondiale, vero terreno di coltura del terrorismo internazionale.
Che tutto sia destinato a cambiare lo dimostra anche il fatto che la più impegnativa attivazione militare della Nato mai conosciuta nella sua storia corrisponde a un’apertura di discussione sul suo superamento che viene dai settori più filoatlantici dell’establishment mondiale. E’ stato Berlusconi a parlare di una sua estensione alla Russia, e il ministro della Difesa italiano, Antonio Martino, ha aggiunto che questo significa che l’Alleanza cambierà natura e nome. L’esperienza del G8, cioè dell’estensione alla Russia dei vertici delle maggiori potenze economiche mondiali, dimostra quanto catastrofica e illusoria sia questa prospettiva fondata sul metodo della cooptazione, se il fine è quello di creare nuovi equilibri mondiali. E, tuttavia, di fronte a questa discussione la sinistra non dovrebbe autoinibirsi dal formulare una propria ipotesi di superamento della Nato, che si muova in una direzione del tutto opposta a quella indicata da Berlusconi e Martino. Che sia cioè fondata sull’accelerazione del processo di unificazione politica dell’Europa, sulla creazione di un suo autonomo sistema di difesa, sulla ridefinizione a partire da queste basi dei suoi rapporti sia con gli Usa che con la Russia. E’ una prospettiva questa che non resuscita vecchi motivi di contrasto ma parte dalla convinzione che la lotta al nuovo nemico costituito dal terrorismo internazionale, che la stessa amministrazione americana definisce lunga e complessa, potrà concludersi con successo se al mondo unipolare seguito alla fine del blocco sovietico subentrerà un nuovo mondo policentrico capace di costruire i suoi equilibri su nuovi contrappesi e bilanciamenti. La costruzione politica dell’Europa costituisce senza dubbio un aspetto tra i più importanti di una tale inversione di rotta. E in questo contesto riacquisterebbero cittadinanza gli obiettivi e le istanze sugli assetti economici e ambientali del mondo avanzati dal movimento nato a Seattle sui temi della globalizzazione.
Tutto ciò comporta per la sinistra e il centro sinistra delle conseguenze sul piano dei comportamenti politici. Se questa è l’ispirazione che deve animare la sua iniziativa nella lotta al terrorismo internazionale, la convergenza con la destra al governo sulle misure immediate non è sufficiente a motivare una comune presa di posizione, come di fatto invece è accaduto per la maggioranza dei Ds e per la Margherita in Parlamento. E’ del tutto evidente, infatti, che anche il comune giudizio sull’azione militare immediata dovrebbe essere inserito nel quadro di prospettive di politica internazionale che dovrebbero restare alternative tra loro. Invece l’idea che prevale nel maggior partito della sinistra italiana, al pari degli altri partiti del socialismo europeo, è che nella politica estera tra maggioranza e opposizione vi è un comune sentire che si iscrive nella fedeltà alle alleanze internazionali del paese.
Purtroppo le cose non stanno così per la destra. E la sinistra non vede i cambiamenti in atto. Le affermazioni di Berlusconi sulla superiorità dell’Occidente non sono un incidente di percorso ma esprimono, forse rozzamente, umori forti in questa parte del mondo. Sarebbe opportuno, perciò, che anche sulle questioni internazionali tra maggioranza e opposizione rimanessero del tutto evidenti le distinzioni. Non è in gioco solo l’identità di ciascuno ma l’efficacia dell’una o l’altra prospettiva per la bonifica dei “giacimenti dell’odio” di cui ha parlato D’Alema.
Nel 1914 quando i rappresentanti dei diversi partiti socialdemocratici votarono i crediti di guerra dei loro rispettivi governi, dovevano avere, probabilmente, mille buone ragioni per farlo, troppo frettolosamente catalogate come “un atto di tradimento” dalla successiva polemica dei comunisti. Ma ciò non toglie che quel voto portò alla rovina del movimento che essi rappresentavano. Ed è lecito fantasticare sul fatto che, se quel voto non fosse stato dato, forse diverso sarebbe stato il cammino della sinistra del Novecento, nei suoi successi e nel riconoscimento amaro dei suoi fallimenti. Oggi la sinistra si trova di fronte a cambiamenti epocali di portata eguale se non superiore a quelli di quasi un secolo fa. Rimanere ancorati a posizioni del passato rischia di creare una situazione in cui si coltivano pregiudizi. Ma non è detto che l’alternativa sia fare propri i pregiudizi degli altri. Il momento richiede un senso alto delle proprie responsabilità di fronte all’umanità così ferocemente colpita dall’attacco alle Torri Gemelle, ma anche la consapevolezza che per salvarsi dai pericoli che incombono su pace e convivenza civile serve una sinistra che sappia riaffermare la propria autonomia e una propria distinta visione del mondo.

*Senatore Ds