Sinistra e operai, strade divaricate

Che nel Lombardo-Veneto e in ampie zone del Piemonte i lavoratori dipendenti votino in maggioranza Lega e Forza Italia è un fatto acquisito. La novità è che il voto a Bossi non è più di protesta ma identitario, consolidato, mentre crescono i consensi per Berlusconi. Come ci spiega un delegato Fiom con la tessera della Margherita a Palazzolo, è la penetrazione del berlusconismo nella fila operaie e della sinistra il fenomeno più pericoloso e difficile da battere. Peggio degli operai ci sono solo i pensionati e le «casalinghe» (così vengono censite nelle indagini le donne che lavorano in casa), nell’elenco dei vecchi e nuovi soggetti che smottano a destra. Abbiamo battuto il Bresciano, zone diverse con differenti caratteristiche industriali, e ci siamo sentiti ripetere le stesse cose da delegati e sindacalisti della Cgil che da anni si interrogano su come sia possibile concliare lotte sindacali e voto a destra. I frammenti di risposte che emergono sono ben diverse da quelle che circolano sui giornali e nei convegni, ed emerge nelle piccole fabbriche il dubbio che questa dissociazione non sia destinata a durare in eterno, già si percepiscono i primi segno di difficoltà nell’organizzazione degli scioperi, soprattutto quelli che riguardano tematiche nazionali. In difesa delle condizioni di lavoro i reparti si fermano, per il contratto nazionale i delegati devono fare un lavoro doppio che in passato. Con la scomparsa della sinistra dal territorio crescono localismo e spinte alla ricerca di soluzioni individuali.
Dalla val Camonica alla val Trompia, alla Bassa occidentale bresciana sotto accusa è dunque la sinistra, liquefatta, accusata di aver abbandonato il territorio nelle mani della propaganda leghista e populista e di aver cancellato le tematiche del lavoro dalla sua agenda. Quanto poi ai rimedi, le ipotesi si divaricano. La scorsa settimana anche la Cisl lombarda s’è interrogata sul voto operaio alla destra. La cura suggerita dal docente di Scienza dell’Amministrazione Paolo Feltrin è l’adeguamento del centrosinistra ai processi sociali e culturali del Nord, per evitare di vincere solo grazie agli insegnanti, ai dipendenti pubblici, al Centro e al Sud del paese (come se quei voti fossero figli di un dio minore). A Palazzolo, come nelle valli bresciane, pensano l’opposto, almeno i lavoratori e i delegati della Cgil, un sindacato a cui chiedono coerenza e autonomia, insomma temono il ritorno al ’96, al defilarsi della stessa Cgil su precarietà e pensioni. Intanto cresce il lavoro nero, che va anche bene perché «non ci si pagano le tasse», e avanti con gli straordinari, anche la domenica. A meno che non lavori in una fabbrica che costruisce macchine tessili come la Marzoli, nella bassa Bresciana, dove i dipendenti sono passati da 1000 a 300 e chissà come finirà per loro, dato che la produzione tessile si sposta in Cina e le macchine conviene farle direttamente sul posto.
Il segretario della Camera del lavoro di Brescia Dino Greco ha detto al manifesto che bisogna riconnettere fabbrica e territorio, faccenda che riguarda direttamente il sindacato: non basta prendersela con la sinistra liquefatta, bisogna agire, assumersi responsabilità se si vuole difendere, con il salario e la qualità del lavoro, anche il welfare e la qualità della vita. Radicarsi nel territorio non vuol dire inseguire i leghisti sul terreno del localismo ma ridare un senso all’agire politico e sindacale e dunque frenare la deriva culturale che produce consenso alla destra, come ripetono i delegati che abbiamo incontrato a Palazzolo.
Brescia non è un caso a sé, se non per il fatto che qui la Cgil ha un radicamento forte e la sindacalizzazione è semmai di tipo emiliano. Da tutto il Nord ci segnalano lo stesso problema, ponendo la stessa domanda: dove va la classe operaia? E poi, sarà solo un problema del Nord?