Sinistra critica prepara la scissione

Se Rifondazione comunista andrà al congresso del prossimo anno discutendo dell’unità a sinistra, si può già affermare che, come sempre nella storia italiana, dall’anno prossimo le sinistre in verità saranno almeno due. «Sinistra critica», lo spezzone del Prc ex trotzkista e vicino ai movimenti (circa il 6% del partito al congresso di Venezia nel 2005), rompe gli indugi e accelera la sua scissione da Rifondazione. Salvatore Cannavò (direttore editoriale di Liberazione in aspettativa parlamentare) e il senatore «epurato» sull’Afghanistan Franco Turigliatto convocano per il 9 e 10 novembre una «costituente della sinistra alternativa» molto diversa da quella che hanno in mente Mussi, Diliberto, Bertinotti e Giordano.
Un’uscita a tappe che sarà preceduta, prima dell’assise nazionale del Prc, da una battaglia metro per metro nei congressi di circolo e da un seminario nazionale a Bellaria (Rimini, dal 20 al 23 settembre) che approverà la piattaforma di uscita «da sinistra» dalla crisi del Prc.
In un documento approvato all’unanimità l’8 luglio dal coordinamento nazionale dell’associazione, la scissione non è direttamente evocata ma viene enunciata nei fatti. «Rifondazione comunista – si legge nel testo – è in una crisi irreversibile e ha esaurito il suo compito. Si scioglierà in una rifondazione socialista che riproporrà il classico moderatismo della sinistra italiana». Da qui la necessità di due sinistre: una «antagonista, anticapitalista, di classe, internazionalista» e un’altra «di governo orientata al compromesso sociale».
«E’ una proposta aperta ai tanti militanti del nostro partito consapevoli del fallimento totale di questo governo, ma anche e soprattutto ai comitati che lottano nel territorio, ai sindacati di base, ai movimenti e alle associazioni – spiega Cannavò – siamo consapevoli che Sinistra critica da sola non è autosufficiente né può competere con la “cosa rossa”». Le parole d’ordine per ora sono chiarissime: no Tav, no Dal Molin, no alla guerra in Afghanistan, no a una riforma delle pensioni che non sia la cancellazione pura e semplice dello scalone Maroni.
«La sinistra di governo non riesce più nemmeno a ridurre i danni e anzi, contribuendo a frenare lotte e conflitti, diventa complice e soggetto attivo delle politiche liberiste», attaccano gli «scissionisti». Anche se elettoralmente un nuovo simbolo con la falce e martello è temuto dai dirigenti sia del Pdci che del Prc, i contorni reali della «cosa a sinistra della sinistra» si sfumano assai.
Al seminario di Bellaria dovrebbero partecipare molti dei protagonisti della straordinaria mobilitazione contro Bush del 9 giugno scorso, non tutti interni a Rifondazione: Giorgio Cremaschi (Fiom-Rete 28 aprile), Piero Bernocchi (Cobas), Luca Casarini (centri sociali del nord est, Sergio Cararo (Rete dei comunisti), Francesca Polo (presidente di Arcilesbica) e un rappresentante del Sdl.
La scissione, se nei fatti è al di là da venire, dal punto di vista amministrativo si è già praticamente consumata. Dopo il 9 giugno il partito ha cancellato il modesto contributo editoriale alla rivista di area Erre e anche Cannavò (come Franco Turigliatto fin dall’espulsione) versa direttamente all’associazione la quota che spettava al Prc dalla sua diaria parlamentare. Un altro divorzio, dopo quello con Marco Ferrando prima delle politiche, si è già consumato.