“L’avevamo detto…”, dice Vincenzo Siniscalchi, segretario del Sult, il sindacato autonomo dei lavoratori dei trasporti che in questi giorni è in prima linea nella vertenza contro il piano industriale di Alitalia.
“Un vero risanamento non si fa vendendo a privati pezzi di azienda, vendendo esperienze e professionalità consolidate, riducendo il personale. Perché una compagnia che esternalizza non può che ridurre la propria fetta di mercato”. Il Sult sostiene le lotte che in questi giorni hanno portato alla cancellazione di oltre il 50% dei voli della compagnia di bandiera. Ma Siniscalchi ci tiene a precisare la propria posizione: “Siamo contenti che i sindacati che firmarono il piano industriale contro cui oggi siamo in lotta si siano resi conto dell’errore”. Un’affermazione che dà il segno dell’aria tesa che si respira all’interno delle relazioni sindacali in Alitalia. Perché -come avevano notato martedì i lavoratori di Atitech di Napoli- quel che manca
è un “fronte unitario della lotta”. Un progetto condiviso, una trattativa nella quale risolvere una volta per tutte dubbi e contraddizioni che attanagliano la disgraziata compagnia di bandiera italiana.
Cosa ti aspetti dalla trattativa di questa sera tra sindacati e governo?
Intanto vogliamo denunciare la posizione del governo nei nostri confronti. Nel tavolo di questa sera il Sult, una tra le sigle più rappresentative in Alitalia, non è stato invitato. Non è certamente un caso, dato che ci siamo rifiutati di firmare il piano industriale.
Inoltre penso che la trattativa non porterà risultati molto avanzati. E’ possibile che si riesca a prendere tempo, a sfruttare l’opportunità di
rimettere tutto in discussione. Ma il governo è diviso e debole politicamente: difficilmente sarà in grado di gestire la crisi.
Berlusconi ha parlato di “manu militari” contro gli scioperi e il Ministro Maroni in un’intervista a Repubblica è giunto fino al punto di ventilare l’ipotesi del fallimento.
Sarebbe un’ipotesi gravissima. L’obiettivo del governo sarebbe quello di scaricare sul sindacato la responsabilità del fallimento. E poi un commissario avrebbe poteri pressoché illimitati. Ma il governo potrebbe anche preferire lasciare tutto immobile. Per permettere a Berlusconi e Sacconi di intensificare i propri proclami tesi alla criminalizzazione delle lotte dei lavoratori e a Baccini di continuare tranquillamente la propria campagna elettorale a Roma. La verità è che questo governo non è in grado di risolvere il problema di Alitalia. E’ vero, i tempi sono brevi, la crisi dell’azienda sembra sempre più grave. Ma per dare ad Alitalia una nuova vita ci vogliono obiettivi chiari da parte del fronte sindacale, e un governo con un politica industriale.
Quali sono le vostre richieste per il rilancio dell’azienda?
In primis rimettere al centro il lavoro: il costo del lavoro azienda è il più basso d’Europa. Poi l’interruzione della riduzione del personale.
Finora non ci sono stati veri e propri licenziamenti, ma è probabile, se il piano industriale non sarà riveduto, che ce ne siano in futuro. E poi
vogliamo un nuovo piano industriale che ci dia reali prospettive di sviluppo. Non accetteremo che l’azienda si riduca al suo marchio.
Si spera, dunque, che il problema Alitalia possa presto essere nell’agenda delle priorità di un nuovo governo. Quali risposte avete
ricevuto dal centrosinistra sui temi della vostra mobilitazione?
Certo, c’è il sostegno di Rifondazione Comunista e Verdi, e la solidarietà di Veltroni, Gasbarra e Marrazzo. Ma per il resto i partiti stanno alla porta, anche quelli dell’Unione. Si limitano a dichiarazioni in cui chiedono al governo di intervenire. Ma la mia impressione e che l’Unione manchi di una vera politica dei trasporti. Anche per questo credo che la battaglia sia ancora lunga.