Che la nascita del Partito democratico avrebbe inevitabìlmente prodotto delle modificazioni nel quadro sindacale lo si è cominciato a intuire al congresso di scioglimento dei Ds quando Piero Fassino, nella sua relazione introduttiva, poneva seccamente la questione: noi semplifichiamo la politica costruendo il Partito democratico, ma rimangono tre confederazioni sindacali, due centrali cooperative ecc., c’è bisogno di semplificazione anche lì.
In buona sintesi Fassino ha aperto, senza troppi giri di parole, la questione “sindacato unico” e le ripercussioni si sono gia cominciate a vedere nella fase della “consultazione certificata” sull’accordo del welfare del 23 luglio scorso. Ovviamente le fibrillazioni si sono fatte sentire per prime in casa Cgil e non poteva essere altrimenti, lì convivono pezzi che hanno privilegiato il rapporto con la sinistra radicale con pezzi di stretta osservanza Pd. La Cisl ha immediatamente cercato di accreditarsi come il sindacato di riferimento del neonato Pd, la Uil, che da tempo aveva piazzato molti suoi dirigenti nei Ds, non fa mistero di ritenersi a tutti gli effetti la vera cinghia di trasmissione del neonato soggetto politico.
Ma la nascita del Pd, e con essa la proposta di sindacato unico che sta producendo i suoi effetti nell’agone politico inducendo i partiti della sinistra radicale a cercare un livello di sintesi politica — la cosa rossa? — non sembra aver indotto gli stessi soggetti della sinistra radicale a una riflessione sulla necessità di ridefinire le proprie opzioni sindacali. Del resto la questione sindacale e’ decisamente la questione irrisolta sia per il Prc che per il Pdci, ovvero risolta finora assumendo una posizione critica ma pur sempre di sostegno strategico alla CGIL, dalle cui fila peraltro provengono molti dirigenti di questi partiti – con una sorta di cinghia di trasmissione all’inverso.
Insomma mi sembra che se c’è una questione su cui sarebbe bene discutere all’interno della cosa rossa è proprio quella sindacale, le sue involuzioni, la distanza sempre più evidente delle confederazioni concertative dal blocco sociale di riferimento, la chiusura al pluralismo e la sostanziale mancanza di democrazia dimostrata con la vicenda referendum sul welfare, la crisi di prospettiva della concertazione, la subordinazione al quadro politico e la conseguente mancanza di indipendenza. Ora è chiaro che, in mancanza dell’apertura di una profonda riflessione sulla questione sindacale e col mantenimento dell’orizzonte attuale, non ci sarà alcun freno all’acuirsi della crisi di credibilità della “istituzione sindacato” favorendo anzi il distacco dei lavoratori dalle opzioni solidaristiche e il loro approdo alla sfiducia, all’individualismo fino ad alimentare pulsioni razziste e xenofobe come risposta alla propria condizione di sfruttati.
La gran parte del sindacalismo di base esistente oggi nel paese è sindacato indipendente, conflittuale e alternativo nelle scelte e nelle pratiche a Cgil, Cisl e Uil, ha cioè realizzato da tempo l’immodificabilità genetica di queste confederazioni e la questione sindacato unico — o più probabilmente unitario, cioè unico nella sostanza anche se non nella forma — non può che acuire la distanza tra le necessità del corpo sociale e le risposte che questo soggetto potrà e vorrà dare. Noi ci stiamo attrezzando per raccogliere la sfida della costruzione del sindacato di massa, di classe anticoncertativo di cui c’è obiettivamente bisogno. Ci auguriamo che, finalmente, si apra una riflessione nella sinistra — è nutile aggiungere aggettivi, non -e n’è altra — che produca maggiore attenzione verso un quadro sindacale in pieno movimento in cui emerge con forza la nuova confederalità di base.