Signor Segretario Generale, garantisca a Gaza il diritto ad esistere

Signor Segretario Generale,
non è facile fissare nella parola scritta sentimenti come il dolore, la rabbia o l’umiliazione, sentimenti che non si riescono ad arginare e non lasciano vie d’uscita né spazio alla speranza. Come palestinese vivo l’angoscia del mio popolo decimato e soffocato da un’occupazione militare che continua da quasi sessant’anni, come membro del Parlamento di uno stato europeo sento il peso e l’ambiguità dell’inspiegabile inerzia dell’Occidente democratico di fronte alla tragedia che si sta consumando a Gaza.
Una tragedia che non rappresenta purtroppo una novità, ma è anzi la fase successiva, più scopertamente drastica e violenta, di una situazione di emergenza che lei stesso ha definito «catastrofe». La “pioggia d’estate” è caduta su una popolazione già stremata dalla mancanza di cibo, acqua e medicinali, chiusa ermeticamente in un grande carcere dove la terra si è inaridita, gli alberi sono stati sradicati e le case distrutte. Migliaia di persone senza aiuti né un barlume di futuro, difficile da immaginare nell’inferno continuo del coprifuoco, che chiude tutti, giovani, vecchi e bambini, in una stanza ad aspettare il peggio. E il peggio qui arriva sempre. Ma quali altre sofferenze dovrà sopportare la gente di Gaza? Che cosa dovrà subire ancora ciò che resta della Palestina prima che il mondo decida di chiedere a Israele di rispettare il diritto internazionale? In nome di questo stesso diritto le Nazioni Unite hanno addirittura avallato guerre il cui obiettivo dichiarato era il ripristino della libertà e della democrazia. Ciò che accade a Gaza, signor Segretario, non è ammesso dal diritto internazionale né in pace né in guerra. Sono violazioni reiterate e sistematiche di tutti i diritti umani e credo di esprimere il sentimento di molte persone, palestinesi e non, se dico che queste violazioni valgono l’intervento delle Nazioni Unite, un suo intervento in qualità di garante del rispetto del diritto.

C’è una foto in cui si vede alle sue spalle, appesa a una parete del palazzo delle Nazioni Unite, una mappa della Palestina. E’ una mappa del 1948, qualcuno ha protestato perché su quella mappa non ci sono i confini dello stato di Israele. E’ vero, non ci sono confini, nemmeno quelli tracciati in base alle risoluzioni delle Nazioni Unite del 1947, non ci sono separazioni, non c’è il lungo muro di cemento che spezzetta ulteriormente un territorio che non ha più ormai alcuna continuità. Ma in quella mappa ci sono città e villaggi che oggi non ci sono più, sono stati azzerati, cancellati dal mondo e dalla memoria eppure erano lì, nel 1948, e i loro abitanti erano palestinesi. La “catastrofe”, signor Segretario, è iniziata allora e ha attraversato mezzo secolo di storia e centinaia di risoluzioni delle Nazioni Unite mai nemmeno prese in considerazione da Israele. Quello che rimane della Palestina della mappa è l’umanità sofferente e disperata di Gaza, che non ha voce nemmeno per chiedere che venga riconosciuto un diritto elementare come quello ad esistere. Io che ho voce e la libertà di usarla posso raccogliere il pianto dei bambini, il dolore di una madre e una voce collettiva che sale nel cielo di Gaza per pronunciare le parole del poeta più amato: “Ho scoperto che la terra è fragile e il mare leggero, ho imparato che lingua e metafora non bastano affatto a dare un luogo al luogo. La parte geografica della storia è più forte della parte storica della geografia”.