– LUCCA
I lucchesi devono amare molto il loro sigaro “stortignaccolo”, il Toscano – diverso dal cilindrico cubano perché più grosso al centro e più sottile alle estremità – tanto da dire che lo preferiscono come moglie, lasciando all’Avana il ruolo dell’amante. E a questo tipo di tradimento devono essere avvezzi in pochi, dato che la storia del Toscano è indissolubilmente legata a quella delle famiglie lucchesi, essendo il mestiere della sigaraia uno dei più ambiti e meglio remunerati dall’Ottocento fino al secondo dopoguerra. Tra le professioni operaie, è anzi forse una delle pochissime creative rimaste – vicina, se non proprio all’arte, certamente all’alto artigianato – e permette di portare a casa fino a due milioni netti al mese per circa 36 ore settimanali di lavoro, con i sabati e le domeniche libere. Nel loro piccolo, le sigaraie sono decisamente delle “privilegiate” rispetto alle operaie dei call center o dei fast food, condannate ormai senza appello ai contratti atipici mordi e fuggi. Una solida posizione che conserveranno almeno fino a quando il loro contratto, a tempo pieno e indeterminato, resterà quello dei dipendenti pubblici: la privatizzazione dell’Ente tabacchi italiani è ormai alle porte, e i rapporti lavorativi, come l’organizzazione interna, sono probabilmente destinati a cambiare. Con l’arrivo degli azionisti privati, quando l’Eti verrà quotata in Borsa, e del contratto degli operai del commercio.
E in effetti l’Eti, figlio dei vecchi Monopoli di Stato, dalla nascita (’98) e dalla successiva costituzione (2000) in società per azioni di proprietà esclusiva del Tesoro, si è progressivamente trasformato in una vera e propria azienda, aumentando produttività e resa del marketing, e proponendosi obiettivi ambiziosi. Frenato, in questa corsa, soltanto dall’impossibilità di pubblicizzare i propri prodotti. “Nel 2000 – spiega Gianni Giacinti, direttore della manifattura – abbiamo prodotto 474 tonnellate di Toscani, fatturando circa 81 miliardi di lire. Per rispondere a una costante crescita della domanda, quest’anno puntiamo a produrre il 50% in più, e ad arrivare nel 2002 a 700 tonnellate. Entro i prossimi tre anni, infine, ci proponiamo di elevare la produzione fino a un milione di tonnellate annue. Il Toscano copre quasi l’80% del mercato italiano dei sigari, ma la penetrazione all’estero è ancora molto bassa, limitata soprattutto a Francia, Spagna e Belgio. Il mercato più promettente, nonostante il forte protezionismo, è quello degli Stati Uniti, dove ogni anno vengono vendute 80.000 tonnellate di sigari”. La fetta di mercato che il Toscano può sperare di occupare oscilla tra le 800 e le 4.000 tonnellate, ma, come si è visto, i numeri della produzione saranno nei prossimi anni ancora nettamente inferiori.
Entro il 2003, i 639 operai lasceranno lo storico edificio dentro le antiche mura di Lucca, un ex convento di suore che li ospita da oltre 150 anni. Andranno a lavorare in quella che sarà la più grande manifattura d’Europa – 100.000 mq, 50.000 al coperto – a 2-3 chilometri dal centro storico. Centocinquanta di loro saranno avviati verso il pensionamento, e sono già stati assunti 150 giovani, perlopiù donne, per sostituirli. Quaranta diventeranno vere e proprie sigaraie, destinate cioè al lavoro esclusivamente manuale. La produzione della maggior parte dei Toscani infatti, seppure al 100% con prodotti naturali e rispettando le procedure tradizionali, è fatta con le macchine. Che tagliano le foglie, arrotolano il ripieno all’interno, tranciano le estremità e poi confezionano. Ci sono quindi due tipi di sigaraie, quelle nel reparto dei “pregiati” – Toscano originale, Selected, Millennium – fatti completamente a mano. E poi, quelle intorno alle macchine, che producono gli Antica Riserva, l’Antico Toscano, l’Extra Vecchio (comunque inseriti nella linea dei pregiati), il Toscano, il Toscanello (normale e special), il Garibaldi (normale e “ammezzato”), i Senesi. Le prime confezionano fino a 520 sigari al giorno, le altre fino a 2000. E, a dire il vero, c’è una sorta di “terza sigaraia” molto lontana da Lucca. Si trova nello Sri Lanka. Per aumentare la produttività e abbassare i costi, infatti, l’Eti ha affidato la fase del taglio delle foglie a delle ditte asiatiche. Un operaio costa 20 dollari al mese, e una foglia di tabacco viene a costare 18 lire, abbattendo le spese del 50% e aumentando la produttività del 30%.
Nel reparto delle sigaraie a mano, ci sono poco più di settanta lavoratrici. Solo donne, concentrate a stendere la foglia, spalmarla di colla d’amido, tagliarla, dosare il ripieno, arrotolare e tranciare gli estremi. In gruppo, sono raccolte le praticanti. A curare la loro istruzione è una sigaraia più grande. “Anche mia madre lavorava in manifattura – dice – e io lavoro qui da 22 anni. Adesso insegno alle ragazze più giovani. In due anni devono raggiungere il ‘cottimo’ di 520 sigari al giorno. Per il momento riescono a farne meno, è un processo graduale”. Un tempo, quando tutta la produzione era manuale e si andava a cottimo, e non con lo stipendio fisso come oggi, le ragazze, quando non riuscivano a finire il lavoro, compravano i sigari da quelle più veloci. Se non presentavi il numero richiesto a fine giornata, infatti, per il giorno successivo avevi commissionato un numero di sigari inferiore. Così, si creava un sorta di mercato già all’interno della fabbrica.
Nonostante siano impegnate, le ragazze del reparto manuale possono parlare tra loro, e il lavoro dà sicuramente più soddisfazione rispetto a quello sulle macchine, dove i ritmi sono più veloci e i rumori più forti. Sulle macchine ci sono anche gli uomini. Un operaio spiega che a Lucca “il lavoro della sigaraia è femminile per eccellenza. Le donne hanno una manualità più abile e sono più sensibili. Durante l’ultima guerra e negli anni ’50, i mariti delle operaie della manifattura erano invidiati. Si diceva: ‘eh, lui ha sposato una sigaraia’, alludendo al fatto che fosse uno fortunato, che non c’era solo lo stipendio da contadino in quella casa. Le sigaraie erano le uniche, insieme alle signore di più alto rango, a frequentare l’esclusivo Caffè Di Simo in via Fillungo”.
Una delle memorie storiche è Raffaello Biagini, 60 anni, da 40 in manifattura. Entrato come operaio, adesso è coordinatore, come Angela Berti e Tullio Salani. Raffaello è attaccatissimo a questo lavoro e ne parla con orgoglio: “La mia famiglia lavora in manifattura da oltre 120 anni. Agli inizi del ‘900 c’era mia nonna, nel 1935 è venuta a lavorarci mia madre, e io sono entrato nel ’61. Fra qualche anno andrò in pensione, ma fino a quando potrò voglio restare perché è un lavoro che mi piace”. Ma la figlia di Biagini, sarà anche lei una sigaraia? “No – risponde lui – lei ha studiato e fa l’assistente sociale. Oggi è più difficile per i giovani entrare”. E Angela Berti aggiunge: “Quasi tutte le famiglie di Lucca hanno avuto operai in manifattura, e i figli hanno potuto studiare. Noi diciamo che i Toscani hanno pagato tantissime lauree”. E del fatto che il taglio delle foglie venga effettuato da “colleghi” dello Sri Lanka, cosa ne pensano gli operai lucchesi? “Produrre fuori abbatte i costi – risponde uno di loro – e il futuro, ormai, è nelle macchine. Ma la fase della manifattura resterà qui, come l’essiccazione, che dura da 9 mesi a un anno, in un ambiente speciale. Tutte operazioni che non ha senso eseguire all’estero”. Se no, che Toscano sarebbe?