La Huaxiang Company, con sede nella città costiera di Ningbo, rappresenta bene quello che sta avvenendo nel settore delle auto-parts in Cina, dunque nel mondo.
Ben il 20 per cento del fatturato del 2005 della Huaxiang è dovuto all’export, come precisa il chairman Xu Peiqi, e inoltre l’azienda ha aperto una filiale a Wolfsburg, sede della Volkswagen in Germania. La Cina da acquirente di componenti per auto è così diventata esportatrice con saldo positivo. Questo sorpasso significa una svolta nella qualità e il riconoscimento sul piano mondiale della manifattura cinese.
Il 2005 rappresenta un anno importante sia perché si conferma un nuovo livello della geografia industriale della Cina sia perché tende a modificarsi la dinamica fra assemblatori e componentisti. Ancora pochi anni fa uno dei problemi dei produttori cinesi di auto era il basso tenore della qualità dei componenti locali, e pertanto il dover acquistare la stragrande maggioranza dei componenti all’estero annullando in parte i benefici del basso costo del lavoro. Ciò determinava una catena del valore con più del 70 per cento dell’import e questo distorceva prezzi e geopolitica per il sistema industriale cinese.
Di questa contraddizione si lamentavano sia i produttori stranieri sia quelli locali, anche se i primi maliziosamente sapevano di favorire i propri fornitori nazionali. Ora il panorama sta cambiando radicalmente, coinvolgendo sia le grandi multinazionali come Delphi e Bosch, sia i fornitori cinesi nel nuovo contesto produttivo modellato dalla crescita esplosiva dell’auto in Cina.
Infatti la Huxiang rappresenta la punta di un iceberg che oramai sta mutando le strutture del settore con la costituzione di numerose aziende manifatturiere cinesi di livello mondiale, che stanno realizzando il sorpasso dell’esportazione sull’importazione dei componenti auto, nonostante la violenta crescita della produzione finale dei veicoli.
Il 2005 segna quindi per un settore delicato come la componentistica del settore automobilistico il riconoscimento da parte dei mercati esteri della raggiunta maturità dei fornitori cinesi. La mappa di questa trasformazione che muove i confini della qualità in Cina si articola su tre scenari, o meglio su tre “movimenti”: a) aziende cinesi come la Huaxiang Group che crescono direttamente sui mercati esteri con esportazione diretta; b) aziende multinazionali (Delphi, Bosch…) che delocalizzano la produzione in Cina e da lì esportano nel mondo; c) imprese cinesi che accelerano la propria qualità comprando aziende in Usa e in Europa, come ad esempio la Wanxiang, che ha acquisito aziende americane per comprare tecnologie e capacità gestionale.
Abbiamo dunque in Cina il settore dei componenti per auto che diventa un “sensore molto sensibile” per spiegare il nuovo ruolo della Cina come hub, ossia come snodo, delle reti del valore, cioè di tutto ciò che aggiunge valore a valore nel sistema produttivo globale. Abbiamo infatti presenti tutti i processi di “ristrutturazione”, non solo costituiti dal lavoro low cost ma dalla scelta di tutte le possibili “rotte” nell’ambito di una mappa mondiale.
Possiamo infatti disegnare tali “rotte” delle catene del valore a partire da: a) imprese multinazionali che delocalizzano in Cina per mercato domestico e per esportazione; b) imprese cinesi a sviluppo autonomo basato sul mercato estero; c) imprese cinesi che crescono acquisendo aziende estere; d) crescita del mercato locale come quantità e come qualità che realizza economie di scala come fattori di successo.
Da questa mappa di rotte si esprime un ruolo della Cina come crocevia strategico, in quanto ospita i diversi momenti della tecnologia, della qualità, della esperienza gestionale e del costo del lavoro. Diventa sensibile, come sottolinea Andrew Batson sul Wall Street Journal, la crescita di ogni settore e di conseguenza la crescita dei salari locali e lo sviluppo dell’efficienza e della produttività non più basata sul “low-cost labour” (A. Batson, “China become a force in making auto parts”, Wall Street Journal 2 agosto 2006).
Questa nuova funzione della Cina come spazio e cartografia dove si incrociano tutte le rotte delle catene del valore diventa da oggi soprattutto vera per l’acciaio, altro settore trascinato dall’auto e dall’intera economia. E’ proprio di questi giorni la fusione della Jinan Iron & Steel Group con la Laiwu Iron & Steel Group, venendo così a costituire il secondo gruppo in Cina dopo la Baoshan Iron & Steel Group di Shanghai. Lo Shandong Iron & Steel Group, nuovo nome del gruppo, supera i 20 milioni di tonnellate di produzione annui, riducendo il numero delle imprese e aumentando la dimensione delle stesse, come indicato dalle direttive del governo.
Per il delicato settore dell’acciaio i vertici cinesi vedono con preoccupazione la fragilità del proprio apparato industriale, molto esteso ma di medie e piccole dimensioni. Il quadro del settore siderurgico vede ormai la Cina come il più grande produttore, con quasi 400 milioni di tonnellate previste per il 2006, ma realizzate da più di 800 aziende, quindi con forti diseconomie di scala.
Secondo il governo l’obiettivo prioritario è quello di avere pochi gruppi, una decina, con una produzione media di 20-30 tonnellate annue così da rispondere all’apertura del mercato e alla competizione internazionale. Sarà questo un processo delicato e complesso sia sul piano tecnologico sia su quello della forza lavoro, visto che solo con la fusione della Jinan e della Laiwu si costituisce il secondo gruppo con 20,7 milioni di tonnellate dopo il Baoshan Group con 22,7 milioni di tonnellate annue.
Le faccende si complicano ora che con la fusione della Mittal sull’Acelor si è costituito il gigante mondiale che produce 120 milioni di tonnellate ed è il riferimento come economia di scala, prezzi, tecnologia e finanza.
Proprio l’ultimo argomento, quello finanziario, lega infatti le due fusioni, quella della Jinan con quella della Mittal. Infatti la Laiwu, quotata alla borsa di Shanghai, è posseduta per il 38,4% da Acelor, a sua volta acquisita da Mittal.
Questo incrocio azionario, come altre operazioni in essere in questo momento sul mercato cinese, operazioni derivanti proprio dalla situazione dell’offerta cinese e dalle direttive del governo, complica la mappa delle rotte in essere delle varie catene del valore, che scontano in Cina sia il costo del lavoro sia la violenta strategia di ristrutturazione voluta dal governo di fronte alla nuova geopolitica mondiale segnata dal supergruppo Mittal.
Tale contesto è temuto a Pechino. Così si esprime infatti Luo Bingsheng, dell’Associazione nazionale dei produttori dell’acciaio: «Il settore deve essere controllato dalle aziende di Stato o dai privati cinesi, invece che dagli stranieri, essendo uno dei settori base dell’industria» (Gong Zhengcheng, “Steelmakers told to make bolder moves”, China Daily, 2 agosto 2006).
Non è a caso che proprio Mittal aveva assorbito nell’ottobre 2005 il 36,7% della Valin Steel Tube & Wire Co. Ltd. di Shenzhen, poco prima che la Acelor acquisisse la Laigang Steel del gruppo Laiwu. Dunque la preoccupazione del governo cinese verso la fusione Mittal-Acelor è doppia, sia per il peso del gruppo nel determinare la politica mondiale dell’acciaio, sia perché il nuovo gruppo detiene partecipazioni strategiche nella seconda impresa cinese.
Rotte industriali e incroci finanziari tenderanno a rendere vivace il processo di ristrutturazione nei prossimi anni, visto che la capacità produttiva è di circa 470 milioni di tonnellate a fronte di una domanda di circa 400 milioni di tonnellate, e con una sovrapproduzione produttiva che cela inefficienze e gap tecnologici, nonché una ristrutturazione della divisione del lavoro.
Si vede così, dal settore acciaio e dal contesto della componentistica per auto, che abbiamo un nuovo ruolo della Cina, non solo come geografia del lavoro a basso costo, ma sempre di più come spazio delle economie di scala che permettono ristrutturazioni sociali e aziendali anche con effetti sulla diffusione delle tecnologie e della qualità.
In questo senso si profilano i processi più vari, gli stadi più differenti delle catene del valore, intrecciandosi le esigenze di riammodernamento di un intero settore come nel caso dell’acciaio e la configurazione tout-court di un settore nuovo come nel caso dei componenti per auto.
Emerge così per la Cina il ruolo di crocevia che dicevamo, non più solo di luogo della delocalizzazione produttiva, anche perché si iniziano a sentire le tensioni sul mercato del lavoro specie nelle zone della costa e soprattutto nelle joint-venture con le imprese straniere.
La stratificazione delle varietà dei settori industriali e delle varietà degli incroci azionari al loro interno sta determinando una segmentazione profonda del mercato del lavoro, processo ancora agli inizi ma con possibili effetti sui salari e sul potenziale della conflittualità operaia. Sicché una Cina più competitiva e più conflittuale potrebbe essere uno degli scenari da prendere seriamente in considerazione nel quadro di una nuova divisione internazionale del lavoro. Ed è così che, dalla mappa delle reti del valore alla cartografia del conflitto sociale, emerge il nuovo ruolo globale della Cina.