«Entriamo in una galleria e contemporaneamente nel gioco attraverso cui il mondo si diverte a sorprendere. Ti inzuppa gli occhi di buio e poi alza il fazzoletto all’improvviso, regalandoti il mare». In treno a Genova, cinque anni dopo. Il viaggio nel tunnel è raccontato da Simona Orlando, autrice dell’ultimo libro su quel maledetto 20 luglio del 2001 segnato, come la vita di Carlo Giuliani e un po’ la nostra, dall’arroganza degli otto padroni del mondo e dalla cieca violenza delle loro truppe scelte. Anzi, le truppe scelte erano le nostre – si fa per dire. Come era nostro quel Gianfranco Fini che guidava le fila del più grave attacco eversivo alla democrazia italiana del dopoguerra: l’unico raffronto che i più anziani riescono a fare è con il ’60, ancora Genova, poi Reggio Emilia, poi l’Italia intera. «Anche se voi vi credete assolti» è il titolo del libro, Aliberti editore (15 euro). Consigliamo di leggerlo durante un viaggio sul treno diretto a Genova. Canticchiare sottovoce le parole di Fabrizio De André da cui è tratto il titolo del libro («siete lo stesso coinvolti») vi aiuterà a sopportare la lettura, cioè il ricordo.
Genova è un passaggio non alienabile dalla vita di molti. Un incubo. Sospensione della democrazia, si è detto e scritto. Ma anche uscita dall’innocenza per intere generazioni giovani, per quelle più adulte il violento precipitare nel passato. Per tutti la paura del futuro. A chi, tra i «reduci» di quel G8, non è capitato di svegliarsi di soprassalto con gli occhi pieni di fumo dei lacrimogeni, le immagini di piazza Alimonda, di piazzale Kennedy, la Diaz, Bolzaneto? Qualcuno, nella notte successiva a quella dell’uccisione di Carlo, quando da una scuola imbrattata dal nostro sangue uscivano in barella ragazzi e ragazze massacrati di botte, ci tirava per la giacca mentre urlavamo di rabbia, e ci diceva: «Ma quello è un compagno». Il riferimento era a un funzionario del capo della polizia De Gennaro che ci raccontava menzogne su quel che stavano facendo. Insieme all’innocenza, a Genova abbiamo perso la capacità di distinguere la destra dalla sinistra.
Dice Heidi, la mamma di Carlo all’autrice del libro, che chi non era a Genova in quei giorni sarà sempre bene accolto. Ha ragione, perché cinque anni fa è cominciata una nuova storia, in tanti si sono sentiti coinvolti, anche chi non c’era ha contribuito a disinnescare nei giorni e nei mesi successivi al G8 la bomba contro la democrazia messa dal governo Berlusconi, attraverso il lavoro sporco di dirigenti e funzionari in quota alla sinistra. Dopo Genova le piazze hanno cominciato a riempirsi di uomini e donne di tutte le età, un altro mondo è diventato possibile per una moltitudine. Contro il liberismo, contro la guerra. Come nel ’60 la democrazia – o il suo simulacro? – era salva.
Genova è la rappresentazione vivente della separatezza tra società reale e società politica. La sua memoria non è condivisa. Le vittime di Genova devono sopportare oggi la stessa violenza di 5 anni fa, constatando che i carnefici sono rimasti al loro posto, o hanno fatto carriera. Se il cambiamento della politica non sa o non vuole garantire neppure verità e giustizia, non si può chiamare cambiamento ma continuità. E in continuità con quei giorni di 5 anni fa, Piazza Alimonda non può chiamarsi «piazza Carlo Giuliani». Solo per noi – ma siamo tanti – si chiama e si chiamerà sempre così.