Siamo in attesa della teoria perfetta?

Sono un delegato Fiom di una fabbrica metalmeccanica e studioso di filosofia a tempo perso. Desidero dare il mio piccolo contributo al dibattito sviluppatosi dalla provocazione di Cavallaro. Devo innanzi tutto ringraziarvi per il fatto di dare spazio nelle vostre pagine a dibattiti simili credo infatti che ce ne sia grande bisogno. Sono stato mosso alla scrittura di questo intervento dalla lettura dell’articolo di Vincenzo Faranda, nonché dall’interesse per quello che viene chiamato “il movimento dei movimenti”.
Innanzi tutto mi sembra che la pratica di ricorrere in maniera selvaggia a citazioni marxiane non contribuisca a chiarirci le idee. Premetto che possiedo una conoscenza marginale del pensiero di Marx e del marxismo; mi sembra tuttavia di essere in buona compagnia visto che viene citato Gramsci a sostegno della tesi economicistica che vedeva la rivoluzione d’ottobre come una “rivoluzione contro il Capitale”. Mi sembra che le tesi che Faranda espone vadano ricondotte a quel filone economicista che vede il processo storico come una evoluzione meccanica che segue determinate leggi “scientifiche”. Ma scusate Gramsci non si batteva proprio contro questo riduzionismo? Nel prospettare una analisi tutta schiacciata sulla struttura Faranda compie un passo indietro di un secolo.
Francamente mi lascia un po’ sconcertato il fatto che si possa pensare che i popoli che oggi si trovano a dover vivere sulla propria pelle le contraddizioni del sistema capitalistico non possano fare altro che attendere lo svolgersi di tutte le fasi dello sviluppo capitalistico. Ma siamo sicuri che questo modo di produzione sia comunque un punto di passaggio verso una società equa? Questo modo di produzione produce gli stessi fenomeni indipendentemente dalle culture che incontra? Vogliamo inoltre negare l’importanza di tutte quelle pratiche che nelle nostre società occidentali hanno contribuito a stemperare le contraddizioni attraverso uno stato sociale ed un sistema di diritti più o meno condiviso? Quest’ultime non sono certo riconducibili ad una logica economicistica e per così dire “scientifica”.
Per tornare a Marx, io credo che una delle mancanze ravisabili nel suo sistema sia la sottovalutazione dell’importanza del tema dei diritti, bollato come ciarpame ideologico. Voglio aggiungere che, a mio avviso, il principale sbagli previsionale di Marx non deriva dall’avere analizzato male le dinamiche del sistema capitalistico, ma dall’aver semplificato troppo il nesso fra le contraddizioni oggettive fra capitale e lavoro e lo sviluppo di una soggettività rivoluzionaria.
Insomma oggi che le condizioni materiali nelle nostre società occidentali sono pienamente sviluppate, a un punto tale da superare credo la capacità immaginativa dello stesso Marx, come mai non c’è una coscienza di classe tale da permettere un superamento delle contraddizioni verso una società di individui liberi? Ora noi vogliamo che queste contraddizioni si dispieghino liberamente in tutti gli angoli del pianeta aspettando chissà quale evento palingenetico?
Mi dispiace, sarà pure un’anti-marxista, ma io chiedo giustizia, equità e ridistribuzione della ricchezza subito, anche a partire da piccole esperienze come può essere la Banca Etica o il commercio equo e solidale. Forse semplifico un po’ ma mi sembra che la prassi dei partiti, dei sindacati e dei movimenti, nelle nostre società occidentali sia derivabile in buona parte da una simile “ideologia”. (Se Faranda è un funzionario Cgil non si muove forse anche lui in questa logica?).
Quando un sindacato come il mio si muove per riaffermare il diritto ad una contrattazione ed ad un salario “giusto” si muove in quest’ottica. Perché quindi accusare il popolo di Genova di seguire una medesima logica, trasportata sul piano internazionale? So benissimo chele proposte del popolo di Genova sono particolaristiche e limitate, ma hanno il grande pregio di essere una prassi che spezza la logica liberista; sono a mio avviso l’unico modo di creare una soggettività nuova, critica.
Una soggettività di questo tipo si sviluppa sul campo, nello scontro a volte anche fisico come le contraddizioni del sistema capitalistico. Sappiamo bene che è difficile avvicinare le masse a temi lontani, quindi non sarei così accademico nel porre le questioni. Non credo che la maniera migliore di favorire un cambiamento dello stato attuale sia quello di andare a pescare qualche citazione di Marx.
Riguardo a Cavallaro, sono certo d’accordo che le proposte del popolo di Genova non sono un superamento della logica del mercato, tuttavia credo che oggi l’unica prassi accettabile sia quella di strappare alcuni spazi a questa logica, mostrano praticamente che un alto mondo è possibile. Non sarebbe neanche poca cosa battersi per uno scambio che sia realmente libero e non coatto. Questo potrebbe servire a mostrare le contraddizioni interne all’ideologia liberista.
Io sarei per sfruttare a pieno una logica fondata sui diritti, inserendosi così a piedi pari dentro il liberalismo per smascherare l’incoerenza reale che esso ammette tranquillamente. Voglio concludere affermando che mi sento partecipe di questo movimento e che continuerà il mio personale sforzo teorico e pratico per capire la realtà attuale, invito però Cavallaro e tutti a fornire anche delle risposte. Certo la provocazione è importante ma è altresì importante la formulazione di strumenti teorici che permettano di andare oltre rispetto a delle diatribe un po’ datate. Mi sembra infatti che in questo movimento manchi infatti una certa categoria: gli intellettuali; che fine hanno fatto? Rigiro perciò la domanda: se il mercato è in potenza e spesso in atto un sistema di rapporti sociali disumanizzante e se la via per raggiungere una società regolata di gramsciana memoria non si trova, che cosa si potrà fare?