«Siamo di serie B?»

Sofia assomiglia sempre meno a una festa spensierata ed euforica l’ingresso della Bulgaria nell’Unione europea, previsto in compagnia della vicina Romania per il primo gennaio 2007. Non che i bulgari abbiano messo da parte le speranze di un futuro migliore sotto la bandiera stellata dell’Unione. Il processo di adesione, però, così lungo e pieno di esitazioni e mezzi ripensamenti da parte dei “vecchi membri”, inizia a far pensare a molti che la Bulgaria in realtà entra in Europa dalla porta di servizio, come membro di seconda classe.
A rafforzare questa sensazione, sicuramente una delle cause più visibili del successo del partito nazionalista Ataka – che proprio oggi si gioca con il suo leader Volen Siderov il ballottaggio delle elezioni presidenziali contro il socialista Georgi Parvanov, presidente uscente – è arrivato l’annuncio del governo inglese, per bocca del ministro degli Interni John Reid, che il mercato del lavoro in Gran Bretagna non sarà aperto anche a bulgari e rumeni, così come lo era stato ai cittadini dei paesi dell’Europa orientale entrati nel maggio 2004. L’anno prossimo, infatti, soltanto 20 mila bulgari e rumeni avranno la possibilità di lavorare in Gran Bretagna, ma esclusivamente nell’agricoltura e nell’industria agro-alimentare. Per i lavoratori più qualificati si prevedono altri permessi, ma che dovrebbero essere in numero piuttosto limitato.
Voltafaccia inglese
La decisione di Londra rappresenta un voltafaccia alla politica delle porte aperte sostenuta due anni fa, quando la Gran Bretagna, insieme all’Irlanda del boom economico e alla Svezia, fu l’unico dei grandi membri ad aprire senza limitazioni ai lavoratori dei nuovi stati membri. Ne è nata un’ondata migratoria che ha portato nell’isola almeno 600 mila cittadini dell’est europeo, soprattutto dalla Polonia, a fronte di previsioni iniziali che parlavano di circa 13 mila nuovi arrivi l’anno, e comunque non più di 18 mila. I famigerati «idraulici polacchi», in realtà, sembrano aver dato un solido contributo all’economia inglese. Il governo laburista, però, teme che un nuovo flusso di immigrati da Bulgaria e Romania possa provocare una «ondata di rigetto», mettendo in forse le capacità della società britannica di assorbire i nuovi venuti.
Aiuto, arrivano i mafiosi bulgari
L’annuncio di Reid, in realtà, non è arrivato del tutto inaspettato. La questione è stata dibattuta per tutta l’estate, raggiungendo forti picchi polemici anche a causa della pressione di alcuni tabloid britannici come il Sunday People, che hanno paventato una vera e propria invasione «dei mafiosi bulgari», che non aspetterebbero altro che la caduta delle frontiere per esportare a Londra i loro giri di droga e prostituzione.
Sulla stampa inglese è stato dato ampio spazio a un altro fenomeno, quello dell’acquisizione del passaporto bulgaro da parte di cittadini di stati come Moldavia e Macedonia, dove esistono forti minoranze bulgare.
Anche sulle cifre le stime di Sofia e di Londra divergono sostanzialmente. Secondo rilevamenti effettuati in Bulgaria, sarebbero circa 50 mila i bulgari che avrebbero intenzione di emigrare in altri stati dell’Unione nel corso dei prossimi anni.
Sogni verso il sole
Ma la maggior parte dei bulgari, per di più, intenderebbe dirigersi verso paesi dell’Europa mediterranea piuttosto che in direzione del Regno Unito. Secondo Migration Watch, invece, nella sola Gran Bretagna potrebbero arrivare, nei prossimi venti mesi, 80 mila bulgari e 200 mila rumeni.
In Inghilterra molti analisti ritengono comunque che le misure intraprese dal governo di Londra si riveleranno inutili e addirittura controproducenti, visto che non potranno fermare l’ingresso di lavoratori bulgari e rumeni, ma contribuiranno a spingerli verso il lavoro in nero.
All’annuncio della decisione britannica di imporre limitazioni così drastiche, il governo di Sofia ha espresso tutto il suo rammarico. Miglena Kuneva, ministro degli Affari europei e probabile prossimo Commissario europeo alla difesa del consumatore, ha dichiarato che «la politica di Londra di aprire le porte nel 2004 è stata molto coraggiosa e sensata. Mi sembra strano che verso la Bulgaria ci si comporti in modo diverso». Il ministero degli esteri, per mezzo del suo portavoce Dimitar Tzanchev, ha anche minacciato di ricorrere a misure speculari verso i paesi che non apriranno le porte ai lavoratori bulgari.
La minaccia sembra però soprattutto frutto della delusione, simile alla protesta simbolica degli abitanti di un villaggio dei monti Rodopi che quest’estate, in risposta alla campagna mediatica in atto sui tabloid inglesi, imposero il visto ai turisti britannici.
Gli occhi di Sofia sull’Italia
In Bulgaria, intanto, si attende con interesse sempre maggiore la decisione del governo italiano, che per il momento, però, sull’apertura del mercato del lavoro ha deciso di non decidere. La maggior parte dei bulgari emigrati nella Ue si trova in tre paesi mediterranei, Grecia, Spagna e Italia, dove si stima vivano e lavorino in 60 mila. E per i rumeni l’Italia è la prima destinazione di emigrazione. Sulla stampa bulgara ci si interroga sul comportamento dell’Italia, visto che il suo atteggiamento influenzerà direttamente quello degli altri due paesi.
La speranza, è che stavolta sia proprio l’Italia a prendere una decisione coraggiosa, e a restituire a bulgari e rumeni, almeno in parte, la sensazione di gioia ed euforia di entrare nell’Unione a testa alta, pari tra pari, e non come cittadini e lavoratori di seconda classe.

* Osservatorio sui Balcani