Si spende poco parola di Ocse

Il primo dato riguarda la quantità complessiva di spesa sanitaria che, secondo l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione economica), in Italia continua ad essere al dì sotto della media dei paesi sviluppati: un 8,4% del Prodotto interno lordo (Pil) contro un 8,9% di tutti gli altri paesi. Inoltre, anche la spesa per ogni singolo cittadino (pro capite) è ancora più bassa nel nostro paese che in altri paesi dell’organizzazione. Si sono spesi 2.392 dollari contro i 2.550 dollari a livello generale; rispetto ai 6.102 dollari che si sono registrati negli Stati uniti. Prima questione: che, negli Stati uniti, la spesa fosse già al «top» non era in discussione, ciò però non vuole dire che il sistema sanitario funzioni sia, soprattutto, egualitario o più paritario. Al contrario. Le tasche degli americani pagano la presenza di diversi modelli assicurativi privati(sono tagliati fuori dall’assistenza più di 50 milioni di persone) Tanto che gli Stati uniti – alla fine del 2004 – avevano dirottato verso la sanità solo il 40% del loro budget pubblico. Contro l’80% «distorto» dal Giappone, dal Regno unito o da altri paesi nordici. Il Messico – che segue a ruota la politica degli Usa – avevano viceversa solo «versato» il 46% del loro budget.
Quello che non va, in Italia, sono il grosso carico della spesa farmaceutica e quella per gli operatori sanitari. L’Italia, sempre secondo l’Ocse, spende troppo per i farmaci (il 21,4% del totale della spesa sanitaria) e per i medici, che sono un numero maggiore rispetto al numero dei cittadini. I medici sono nel nostro territorio il 4,2% ogni mille abitanti contro la media Ocse del 3% ogni mille abitanti.
La sanità rimane uno dei «grandi» problemi del nostro budget finanziario e, ogni volta ed ogni anno, viene messa sottoaccusa. Quando si tratta di orientare le scelte politiche (in preparazione del Dpef, della legge finanziaria….). Gli orientamenti non sono mai stati univochi per la presenza contemporanea di diversi modelli o misure regionali. Oppure, perchè, in Italia si è fatta strada il concetto proprio alla privatizzazione del settore. La «cura» già stata fatta: il Fondo sanitario nazionale finanzia infatti il 76,3% delle risorse pubbliche contro il 73% della media Ocse; però la quantità di quese risorse è diminuita rispetto all’anno 1990, quando risultò pari al 79,1%. Inoltre, la spesa sanitaria – tra il 1999 e il 2004 – è cresciuta solo del 3,5% contro il 5,2% di tutti gli altri paesi; tanto da dimostrare che in fondo hanno poca credibilità alcune decisioni di volere contrarre l’intervento pubblico per uno «sforamento» della spesa da parte di alcune regioni.
Purtroppo hanno pesato, in questo caso come in altri, la scarsa razionalizzazione del sistema, la scarsa lotta agli sprechi, un rapporto tra pubblico e privato sempre svantggioso per il primo. Del resto, nel nostro paese, si continuano a somministrare dei farmaci il cui prezzo è salito per «colpe» che riguardano più la sua commercializzazione che effetiva terapeutica. Quando esplode uno scandalo ci si rende conto di come l’aziende spendano molto di più per la rappresentanza che la sicureza di un prodotto. Ultimamente, la Rercodati è stata coinvolta in un caso di comparaggio attraverso l’«aiuto» dei medici generici.
Spesa sanitaria e benessere devono essere l’obiettivo prioritario. L’Ocse segnala che la mortilità infantile è molto diminuita tra di noi: ogni mile nati vivi ne muoiono il 4,1 a dispeto di una media pari al 5,7. Ne gode anche il rapporto tra numero di anni ed aspettativa di vita; che nel nostro caso risulta essere – nel 2003 – di 79,9 anni. Un dato sicuramente migliorato che resta, però, inferiore a quello del Giappone, della Svizzera, dell’Australia e della Svezia.