Si arroventa il Venezuela

Torna ad arroventarsi il clima politico in Venezuela in vista dell’approssimarsi della scadenza per la riconvalida delle firme che dovrebbero sancire la possibilità del referendum revocatorio chiesto dall’opposizione nel tentativo disperato di liberarsi del presidente Hugo Chavez. Ma in un quadro generale di straordinaria difficoltà degli Stati uniti in Iraq, aumenta il rischio concreto che un’amministrazione sempre più in panico decida qualche nuova avventura in America latina. Fidel Castro a Cuba e Hugo Chavez in Venezuela sono i due bersagli ideali. Non solo per Bush ma anche per i suoi vassalli. Come il guerrafondaio Alvaro Uribe, presidente della Colombia. E la Colombia è geograficamente confinante e storicamente rivale del Venezuela. L’ultima occasione di scontro è stata, domenica mattina all’alba, la cattura di una novantina di giovanotti colombiani, tutti in tuta mimetica anche se senza armi, in una finca a El Hatillo, alle porte di Caracas. Chavez e il suo vicepresidente, José Vicente Rangel, li hanno presi e denunciati come appartenenti alle Auc, i gruppi di Autodefensas colombiani, le squadracce assassine create e alimentate dalle forze armate e dagli americani. Chavez e Rangel li hanno accusati di essere arrivati in Venezuela per provocare un golpe e assassinare lo scomodo Chavez. Con agganci nell’opposizione locale – la Coordinadora democratica – e nell’amministrazione Usa – esasperati per non essere riusciti a liberarsi di Chavez nonostante i tentativi reiterati (golpe dell’aprile 2002, paro degli inizi 2003).

La vicenda dei paras colombiani si inserisce nello scontro più generale Colombia-Venezuela. La Colombia, impegnata in una guerra a morte con la guerriglia di sinistra Farc-Eln e in un processo più che ambiguo di smobilitazione (leggi: impunità) delle Auc, oltre che in un’inserzione totale nella «guerra al terrorismo» targata Bush, accusa Chavez di essere in combutta e di offrire santuari alle Farc. Ora invece sarebbero i paras di estrema destra che, certo per iniziativa non autonoma, avrebbero organizzato una spedizione per far fuori Chavez. Il presidente Uribe, che ostenta fermezza nella linea «anti-terrorista, ha espresso il suo compiacimento per gli arresti di El Hatillo. Ma a Bogotà come a Washington come negli ambienti dell’opposizione anti-chavista di Caracas si tende a parlare di una «montatura» di Chavez con l’obiettivo di mandare a monte la riconvalida delle firme contestate, fissata per il 28-30 maggio, e quindi il referendum revocatorio dell’8 agosto.

Rangel a Caracas ha rivelato l’esistenza di agganci interni al complotto: un colonnello della Guardia nazionale è stato arrestato, il proprietario della finca in cui la novantina di paras erano accampati – Roberto Alonso, un cubano di nascita, virulento anti-castrista militante – è ricercato (ma se ne starà già al sicuro a Miami). Il vice di Chavez parla apertamente di «una trangolazione Bogotà-Miami-Caracas» con propaggini fino a Washington. Bogotà dove i venezuelani asseriscono sia stata organizzato un vertice fra il comandante in capo dell’esercito colombiano, generale Martin Orlando Carreno (con annesse Auc) e gente della Coordinadora venezuelana. Miami dove sono di casa Alonso e l’ex presidente socialdemocratico Carlos Andres Perez (che bolla come una «montatura di Chavez» l’arresto dei paras ma, due giorni prima, aveva incitato a rovesciare il presidente legittimo «con la violenza»). Caracas dove i settori duri della Coordinadora sono pronti a tutto pur di liberarsi di Chavez con la partecipazione attiva dell’ambasciatore Usa, Charles Shapiro. Washington dove il portavoce del dipartimento di stato, Boucher, in una sorta di excusatio non paetita fortemente sospetta, ha definito «irresponsabili e prive di fondamento» le accuse di coinvolgimento degli Usa nella vicenda dei paras.