ROMA — Mario Monicelli, senta: lei, straordinario maestro del cinema italiano, insieme ad altri intellettuali firma un appello di sostegno alla Sinistra Arcobaleno e allora…
«Si fermi. Lei mi disturba per questo?».
Maestro…
«Mi dica: lei è rimasto sorpreso? Non abbia timore… coraggio, mi risponda: è rimasto sorpreso?».
Sorpreso, no. Ma certo questo suo schierarsi così netto…
«Netto? No, guardi: io fatico non poco a schierarmi con la Sinistra Arcobaleno».
Vuol dire che, istintivamente, sarebbe forse più propenso al Partito democratico di Walter Veltroni?
«Cosa? No no… quello lì, Veltroni intendo, ha come modello di riferimento gli Stati Uniti, e lei, beh, capirà…».
I fratelli Kennedy, e forse più Bob di John, e poi…
«E poi cosa? Lasci stare la dinastia Kennedy. Walter, purtroppo, ha come modello uno stato imperialista, spietato socialmente, dove chi è povero è molto povero e chi è ricco è molto ricco».
Sono discorsi da sinistra estrema.
«Infatti. I miei pensieri sono più a sinistra, e finalmente ci siamo, di quelli proposti dalla Sinistra Arcobaleno. Era ciò che cercavo di spiegarle: fatico a votare persino per loro. Per quelli che fanno promesse, proclami e che poi…».
E che poi?
«Beh, poi vanno al governo, ci stanno due anni, e invece di mettere mano al conflitto di interessi di Berlusconi, preferiscono diventare presidente della Camera e realizzare, quindi, un quinto delle promesse fatte in campagna elettorale».
Lei si riferisce a Fausto Bertinotti.
«Guardi, io di Bertinotti sono amico, lo stimo e lo frequento con piacere, e lo incontro, spesso, a cena, con sua moglie Lella… solo che, davvero, io sarei un bel po’ più a sinistra di lui e della Sinistra Arcobaleno. Ma cosa c’è in Italia più a sinistra di loro? Così mi tocca accontentarmi».
Lei è sempre stato così radicale?
«Mio padre Tomaso, giornalista celebre e critico teatrale, fu perseguitato dal fascismo e, per questo, nel 1945 si suicidò. La prima cosa che perciò si può dire è che io sono antifascista dentro, nell’animo».
Poi?
«Poi, nell’immediato dopoguerra, divenni socialista. Con il mio amico regista Mario Camerini facemmo pure un po’ di propaganda: all’epoca, a Roma, si tenevano discorsi in piazza Montecitorio, o nella Galleria Colonna».
Quindi lei nasce socialista.
«E sa quando smetto? Quando compare il faccione autoritario, dispotico di Bettino Craxi. Un esponente politico borghese, gran corruttore».
Eppure la figura di Craxi è stata assai rivalutata, maestro.
«E chi se ne frega… Io non lo sopportavo, e così, politicamente, vagai qualche mese, finché non finii dentro il Pci».
Molti registi italiani finivano in quei ranghi.
«Il cinema italiano era rosso. Penso a Scola, a Scarpelli, a Benvenuti, a Gigi Magni…».
Comencini?
«Gran socialista».
E gli attori? Sordi, Mastroianni, Gassman, Tognazzi, Manfredi…
«Mah, vede, gli attori, in genere, sono dei malati di mente che hanno una sola ambizione: quella di piacere a tutti. Si figuri se qualche grande avesse voglia di schierarsi politicamente».
Gian Maria Volonté si schierò.
«E infatti era considerato un antipatico di prim’ordine».
A lei starà molto antipatico Silvio Berlusconi.
«Dovrebbe essere il nemico numero uno di milioni di italiani. Ma siccome gli italiani sono stupidi, lo adorano. Chiunque prometta agli italiani benessere, riceve il loro voto».
Lei è pessimista.
«Mi sfogo. Quando posso. E poi, le dico: sa perché sono riuscito ad arrivare a 93 anni così lucido da star qui a discutere di politica?».
No. Perché?
«Perché non sono pessimista. Ma superficiale e comunista».