«Sharon, noi non siamo merce di scambio»

INVIATO A UMM EL-FAHM
«Il 25% dei bambini israeliani sono arabi» dice Abdallah Mahmid mostrandoci un articolo del settimanale locale. «Leggendo le ultime statistiche ufficiali ho pensato subito: ecco (il governo) adesso ripeterà che gli arabi sono troppi, il loro numero cresce velocemente e che bisogna trovare una soluzione altrimenti gli israeliani ebrei un giorno non saranno più la maggioranza del paese». Aveva ragione Mahmid, uno dei 40 mila abitanti di Umm El-Fahm, la seconda città araba in Israele e capoluogo di fatto del cosiddetto «triangolo arabo», un’area dove i 200 mila residenti palestinesi rappresentano ancora la maggioranza della popolazione. Nelle stesse ore in cui i giornali pubblicavano i dati demografici, il premier Ariel Sharon annunciava un nuovo progetto: Israele è pronto ad evacuare le colonie ebraiche di Gaza ma i palestinesi dovranno cedere le porzioni della Cisgiordania sono situati i principali gruppi di insediamenti colonici, in cambio riceveranno porzioni di territorio israeliano. Quali? Quella a ridosso della «linea verde» (la linea di armistizio che un tempo segnava il confine non ufficiale tra Israele e Cisgiordania) dove vivono decine di migliaia di arabi israeliani, ovvero palestinesi con cittadinanza israeliana, quelli che, secondo le autorità di governo, con la loro presenza «minacciano» la maggioranza ebraica del paese. «Non pensiamo a un trasferimento di persone – ha precisato Sharon – piuttosto a territori che cambiano sovranità». Gli arabi in Israele (circa 1.200.000, 20% della popolazione, quasi tutti musulmani) sono i discendenti dei circa 150.000 palestinesi che non vennero espulsi o fuggirono durante il periodo prima e dopo la nascita di Israele (1947-48). Fino al 1966 vennero «gestiti» da una amministrazione militare con gravi limitazioni ai loro diritti e libertà. Sono cittadini come tutti gli altri: pagano le tasse e devono rispettare la legge ma rispetto agli israeliani ebrei devono affrontare non poche discriminazioni. Lo Stato li esenta dal servizio di leva obbligatorio (tranne i drusi, «arabi modello») con esclusione dai generosi sussidi e benefici per chi fa il militare. Sono esclusi per «ragioni di sicurezza». In passato si sono visti confiscare quasi tutta la loro terra dallo Stato. Oggi, pur essendo il 20% della popolazione, posseggono solo il 2% del territorio.

L’ex premier e attuale ministro delle finanze Benyamin Netanyahu, ha definito la minoranza araba israeliana «una bomba a orologeria». In ogni paese democratico l’ espressione pronunciata da un ministro su una minoranza etnica sarebbe inaccettabile per le forze progressiste. Non in Israele che pure si definisce «l’unica democrazia del Medio Oriente». A Umm El-Fahm tutti si domandano la stessa cosa: cosa accadrà di noi? «Su un punto non ci sono differenze – spiega Abdullah Mahmid – nessuno della nostra città, e siamo certi nessun arabo in Israele, accetteràdi vedersi trasferito ad un’altra sovranità. Siamo cittadini israeliani e tali vogliamo rimanere». Ad uno straniero abituato da decenni a leggere le insaguinate cronache israelo-palestinesi, questa posizione degli arabi in Israele apparirà incomprensibile. In fondo ad un palestinese dovrebbe far piacere vivere in uno Stato palestinese e lasciare Israele dove, peraltro, viene discriminato. Il caso è molto più complesso. «E’ prima di tutto una questione di principio – spiega Mahmud Mahajnah, 25 anni, iscritto alla facoltà di economia e commercio – ci hanno detto per decenni di rimanere fedeli allo Stato, ci hanno detto di dimostrare che un arabo può vivere in pace con gli ebrei. Ci hanno tolto la terra, negato lavori e possibilità, ci hanno imposto tante cose che noi lo abbiamo accettato anche contro le nostre aspirazioni. E ora, dopo 56 anni, ci dicono “andate via”, andate dagli altri arabi. No mi dispiace, questo ormai è il mio Stato e non ci rinuncio». Altri abitanti di Umm El-Fahem ammettono di temere la sovranità dell’Anp che è rimasta coinvolta in scandali e gravi casi di corruzione nonché è stata responsabile di violazioni di diritti umani, talvolta altrettanto gravi di quelle commesse da Israele. Gli arabi israeliani rifiutano inoltre il trasferimento alla sovranità palestinese: sanno che la loro condizione economica, già precaria in Israele, finirebbe per aggravarsi nello Stato di Palestina sovraffollato e privo di risorse. Perderebbero inoltre i sussidi alle famiglie previsti dalla legge israeliana e l’assistenza sanitaria.

Israele nel 1949, con i quattro accordi di armistizio separati con gli Stati arabi confinanti, accettò di includere all’interno del territorio sotto suo controllo anche le città e i villaggi arabi della bassa Galilea, a ridosso della «linea verde». Il piano di spartizione, votato all’Onu nel 1947, assegnava a Israele il 56% della Palestina ma il neonato Stato ebraico alla fine della guerra si ritrovò a controllare il 78% del territorio, incluso il «triangolo arabo».

Il «padre della patria» David Ben Gurion accettò volentieri di conservare il controllo di tutta la terra catturata dalle truppe israeliane, anche se vi rimanevano decine di migliaia di palestinesi. Ora le autorità governative hanno cominciato a parlare con insistenza di «errore» commesso 50 anni fa e di «soluzioni» da trovare al «problema demografico» nel paese che si aggiunge al numero crescente di palestinesi in Cisgiordania e Striscia di Gaza (3,5 milioni) ancora sotto occupazione e, quindi, sotto il controllo di Israele. I governi laburisti sono stati i primi a parlare di rinuncia a gran parte di Cisgiordania e Gaza allo scopo di definire i confini del paese e garantire la maggioranza ebraica in Israele. Sharon e la destra sono arrivati alla stessa conclusione, con una soluzione più «creativa»: un mini-Stato palestinese privo di sovranità reale, al quale cedere piccole parti di territorio israeliano densamente popolati da arabi in cambio di porzioni della Cisgiordania dove vivono i coloni ebrei. «Il progetto di Sharon rappresenta una guerra aperta ai cittadini arabi – denuncia Jafar Farah, direttore del centro “Mossawa” di assistenza alla minoranza araba – un tentativo di farli entrare con la forza nel conflitto, di provocare un disastro. I palestinesi di Israele non accettano di essere una merce di scambio. Siamo essere umani e cittadini di questo paese». «Sharon – dichiara il parlamentare Azmi Bishara, intellettuale di punta della minoranza araba – dice cose prive di fondamento, ha solo bisogno di creare un alibi alla sua prossima dichiarazione di morte della “road map”. Deve capire che noi non siamo immigrati come tanti ebrei giunti in questo paese. Noi eravamo e rimarremmo qui. Non abbiamo scelto di essere israeliani, ci è stato imposto e ora resteremo israeliani, a ogni costo. Sharon rischia di provocare un disastro immenso».