Sgrena: «Essere liberati al prezzo di una vittima, pesa per tutta la vita»

Giuliana Sgrena, hai letto il “New York Post”? Il soldato Lozano dice di «essere stato costretto a sparare» all’automobile sulla quale eri con Nicola Calipari e che ti stava riportando all’aeroporto di Baghdad…
Questa è la prima intervista che rilascia Lozano. Non è un’intervista vera e propria, Lozano ha deciso di fare qualche dichiarazione alla vigilia del processo che lo vede imputato. Dice di aver sparato perché si sentiva in pericolo, parla di una scelta inevitabile, ripete la versione ufficiale americana. Non credo sia stato un incidente, non sono neppure convinta che Lozano sia il principale responsabile di quel che è accaduto. Proprio per questo dovrebbe presentarsi in udienza, avrebbe l’occasione di difendersi. Ma gli Stati uniti non ammettono che un loro soldato sia processato in un altro paese, lo so benissimo. Quindi Lozano non sarà in aula, non solo per sua scelta.

Oggi Lozano, incriminato in Italia, viene intervistato da un quotidiano americano.
Parla di avvertimenti, di segnali luminosi lanciati per ingiungere alla macchina di fermarsi. Sappiamo che quei segnali non sono mai stati mandati. Il confronto con Lozano avrebbe aiutato a fare chiarezza.

Diventa più difficile cercare e trovare la verità quando la politica si schiera, si lancia accuse vicendevoli, si scontra?
Naturalmente sì. Utilizzare i sequestri e le loro soluzioni ai fini dello scontro politico non aiuta a trovare la verità. Anzi. Tutto finisce in un unico calderone, si nascondono o si tirano fuori fatti unicamente per mettere in difficoltà l’avversario politico, per propri fini.

Ma di fronte a sequestri di persona, è concepibile lo scontro politico?
Parlerei di cinismo, quasi non si trattasse di persone che rischiano la vita. Purtroppo ogni volta che c’è un sequestro con una soluzione drammatica rivivo quello che è successo a me. Ed è così doloroso. Immagino quello che sta provando Daniele: lui è libero ma altri hanno pagato con la propria vita. Per me è ancora diverso: ha perso la vita chi mi ha liberata e protetta di fronte agli spari americani. Vittime che non ti permetteranno di superare quello che hai vissuto. Una ferita aperta, che non si chiude mai. Ogni giorno rivivo quello che ho vissuto, e la mia storia non è certo chiusa: il 17 ci sarà il processo che io ho voluto nella speranza di poter fare chiarezza.

Fra qualche giorno inizierà il processo.
E sarebbe stato importante che si fosse presentato anche Lozano, perché la sua assenza renderà più difficile scoprire quello che è successo. Detto questo il fatto che ci sarà il processo è di per sé molto importante: è la prima volta che si toglie l’impunità ai soldati americani, nonostante gli Stati Uniti non siano d’accordo. E questo grazie al lavoro fatto dalla magistratura italiana che ha reso possibile il processo, grazie al mio avvocato e a quello di Rosa Calipari, grazie all’avvocatura di Stato che è parte civile.

Le sale sono piene di persone che vogliono sapere, capire, il tuo “Fuoco amico” è diventato un successo editoriale. Potremmo dire, ricordando un vecchio slogan, che la verità è rivoluzionaria?
In questo momento ho fortissimi dolori, quindi cerco di ridurre le iniziative. Ma c’è tantissima gente che vuole conoscere, sapere ciò che è successo quella notte. Persone che non si lasciano portar fuori strada da un’informazione spesso omologata, che vorrebbe farti credere che la guerra in Iraq non c’è più. Ho presentato il mio libro anche negli Stati Uniti, penso che se la posizione degli Usa cambiasse sarebbe importante, sia per l’Iraq che per l’Afghanistan.