La magistratura milanese ha emesso ventidue mandati di arresto «europei» a carico dell.ex capocentro della Cia nel capoluogo lombardo, Robert Seldon Lady, e dei suoi colleghi, accusati del sequestro dell.imam egiziano Abu Omar (febbraio 2003). Dopo qualche discussione con i funzionari del ministero il guardasigilli Roberto Castelli stavolta si è piegato. Ha annunciato che trasmetterà gli atti. Con un nota in cui, per così dire, prende le distanze: «L.inserimento dei nomi dei ricercati nel sistema Schengen, costituisce un mero atto dovuto rispetto al quale il ministro della Giustizia non
ha alcun potere di valutazione I nominativi saranno quindi segnalati al ministero dell’interno, per l’inserimento nel sistema informativo Schengen». I ventidue, già colpiti da ordini di carcerazione emessi nei mesi scorsi dal gip e dal tribunale di Milano, a questo punto sono ricercati in tutti i paesi che aderiscono all’accordo Schengen. Così funziona la Decisione quadro sul mandato d’arresto Ue recepita in Italia (malgrado le resistenze delle destre) con la legge 69 di quest.anno. Se prima rischiavano l’arresto appena fossero entrati sul territorio italiano – tanto che Bob Lady ha abbandonato la villa in Piemonte in cui avrebbe voluto godersi la pensione – oggi lo rischiano in tutta Europa. E sarebbero estradati in Italia, a disposizione dei magistrati, anche senza la richiesta del ministro Castelli e del governo
ultra-atlantista di cui fa parte. In teoria potrebbero essere arrestati anche con il circuito Interpol, dunque in base al mandato di cattura internazionale, ma per portarli in Italia sarebbe sempre necessaria la richiesta del ministro. La
procura ha anche trasmesso una richiesta di assistenza giudiziaria agli Usa per poter interrogare i ventidue: in questo caso, se il ministero non darà corso all’atto, i magistrati potranno chiedere direttamente agli indagati, ammesso che si facciano trovare, di poterli interrogare. I giudici di Milano segnano un punto, sia pure virtuale, nel conflitto che si è aperto con il governo sulla vicenda di Abu Omar e, più in generale, tra il governo e quella parte della magistratura
(e del paese) che vuole andare fino in fondo sugli abusi e i crimini nella cosiddetta guerra al terrorismo, specie se commessi da agenti, militari o «diplomatici» alleati sul nostro territorio (Lady si difende tramite l’avvocato
milanese Daria Pesce che invoca «l’immunità à diplomatica» in virtù dell.incarico di «console » all.epoca rivestito dal suo assistito, uno che si faceva notare già vent.anni fa in Centramerica alla scuola di John Negroponte).
Le ordinanze di arresto risalgono a giugno e settembre e dal 10 novembre giacciono, al ministero della giustizia, le relative richieste di estradizione, che il governo avrebbe dovuto trasmettere a Washington ai sensi del trattato bilaterale.
I ventidue, a quanto risulta, sono tutti negli Stati Uniti e quindi per arrestarli sul serio sarebbe necessaria l.adesione di Washington. Non ci sarà mai ma almeno gli americani sarebbero costretti a dare una risposta, chissà quale. Castelli invece non ha ancora fatto sapere a Milano se intende rifiutare la rogatoria oppure ritardarla, come il codice gli consentirebbe di fare. E adesso il ministero chiede alla procura l.intero fascicolo (due anni di indagini). «Mai
successo», dicono a palazzo di giustizia. Vuol perdere tempo: al ministero hanno già le ordinanze (italiano e inglese), le foto, una ricostruzione e le sintesi dei rapporti investigativi. Castelli giorni fa aveva lanciato un attacco gratuito al procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro che coordina, con il collega Ferdinando Pomarici, il pool antiterrorismo: «E. un magistrato militante – diceva – che può avere un pregiudizio verso gli Usa». Aggiungendo
sorprendenti valutazioni giuridiche: «Questo è un caso eccezionale – sosteneva – in cui la legge dà al ministro il potere di valutare la fondatezza delle accuse». Ieri sera in tv aveva una sfumatura diversa: «E. una questione estremamente
delicata. Il codice di procedura penale – precisava – dà in capo al ministro la valutazione su cosa occorra fare ai sensi della sicurezza dello Stato». Nessun altro ha parlato per il governo, se non dalle seconde linee come Adolfo Urso di An, viceministro delle autorità produttive: «Per fronteggiare un terrorismo internazionale che ha dimostrato di non porsi alcun limite ci vuole una assoluta serenità di giudizio e la massima cautela». La stessa cautela che potrebbe aver consigliato ai governi di Polonia e Ungheria di ospitare prigioni segrete della Cia. Verdi e Prc attaccano Castelli: «Non ostacoli la magistratura ». Dagli Usa nessun commento.