«O Prodi cambia rotta o si rischia di andare tutti a casa».
Il capogruppo di Rifondazione comunista al Senato, Giovanni Russo Spena, nonostante ieri abbia strappato un successo, insieme a tutta la sinistra unita, sul Dpef, non dimentica le difficoltà di questo governo e promette battaglia.
Senatore, è soddisfatto di questo Dpef?
Direi di sì. Il documento contiene alcuni punti importanti e fa ben sperare su un vero cambio di marcia nella politica del governo. Un Dpef che è anche un successo della sinistra radicale che quando lavora unita riesce ad influenzare le decisioni finali della maggioranza. Adesso però è necessario che gli elementi positivi inseriti diventino parte integrante della Finanziaria.
I punti fondamentali?
Schematicamente: sulle privatizzazioni, sul mezzogiorno, sull’equità sociale, sulla riduzione dei costì della politica e soprattutto sulla riforma del mercato del lavoro.
Ha toccato subito la nota dolente del lavoro…
II mio giudizio sul protocollo Damiano sul welfare è pessimo.
Prevede addirittura la detassazione del lavoro straordinario e più
in generale non contrasta affatto il precariato, peggiorando una si
tuazione già critica. Tutto questo va eliminato con la finanzia
ria
Damiano dice però che l’accordo è inemendabile.
E io gli rispondo che i nostri emendamenti, insieme a quelli della Sinistra democratica di Verdi e Pdci, sono già scritti. Attendiamo solo ottobre per presentarli in finanziaria.
Un ottobre che si preannuncia dunque molto caldo…
Assolutamente, sarà uno scontro aspro. Ma il braccio di ferro è cominciato già oggi (ieri per chi legge, ndr) con la presentazione dell’emendamento Dini, poi fortunatamente ritirato, che non ci è piaciuto affatto. La battaglia è cominciata: il centro sfida il governo.
La collegiabilità della maggioranza è già in frantumi?
E’ un problema reale che riguarda non solo il governo, ma Prodi in prima persona. Noi siamo molto delusi dell’atteggiamento che il presidente del consiglio ha tenuto nell’ultima settimana dando forza a quella parte della maggioranza che confluirà all’interno del Partito democratico.
C’è l’ipotesi che Rifondazione comunista possa uscire dal governo?
Non credo. La sindrome del ’98 è totalmente superata. Ma se Prodi si schiererà, come del resto ha già fatto, a fianco dello scalone Maroni o della proposta Damiano allora rischierà grosso e cadrà. Non so se da destra, dal centro o da sinistra, ma cadrà. Una cosa è certa, le sorti di questo governo non dipendono da Rifondazione o dalla sinistra alternativa, è Prodi che deve decidere: o recupera un consenso sociale nel paese con un indirizzo riformatore oppure è destinato ad implodere su stesso.
Volgendo lo sguardo un po’ più in là e pensando già al dopo Prodi, come sarà il rapporto tra la sinistra di alternativa e il nascente Pd? Ed in particolare il rapporto con il probabile leader Veltroni?
Per usare le parole di Ingrao, quel che sta per nascere mi sembra più un partito di centro democratico. A noi dunque il compito di costruire la sinistra. Vetroni può essere il male minore, ma quel che mi preoccupa in lui è l’idea che ha delle istituzioni. Il suo intento è chiaro e nello stesso tempo aberrante: togliere la centralità del parlamento e arrivare ad un ingabbiamento bipolare ultramaggioritario dove noi siamo esclusi. Lo chiamerei uno strano riformismo autoritario.
E a sinistra chi troverà?
Una forza unita e alternativa che potrà contare sul 12-15% dell’elettorato. A quel punto il Pd non potrà far finta di nulla e bisogna cominciare la ricontrattazione dell’intero programma elettorale. Un altro punto cruciale sarà l’innovazione, da mettere in contrapposizione alla sfida liberista di Veltroni. Dobbiamo sfidarlo sull’innovazione post novecentesca, riproponendo un revisionismo di sinistra a cominciare dai movimenti, da Genova, dalla non violenza, tutti punti fondamentali da cui dobbiamo ripartire.
Ha usato il termine «ripartire», quindi anche lei ha il sentore di un partito, il suo, un po’ fermo…
C’è una sofferenza, è inutile negarlo. Lo si nota andando alle assemblee, parlando con la base. Anche con il movimento c’è una sorta di allontanamento ed è un grosso problema Una forza abituata a stare all’opposizione che all’improvviso diventa, agli occhi della gente, govemista e mediazionista facendo venir meno quel progetto per cui Rifondazione è nata, ovvero usare il governo come mezzo e non come fine. Se salta questo, salta tutto.