Nel 1999, durante la guerra tra esercito jugoslavo, paramilitari serbi e Uck albanese in Kosovo, le milizie serbe hanno commesso gravi crimini ma non si sono mai macchiate di atti di genocidio. Si è trattato al massimo di una campagna di terrore per costringere la maggioranza albanese della popolazione alla fuga. Un’affermazione importante, di fronte a duemila sepolture “spesso individuali” trovate in Kosovo dal procuratore Carla Del Ponte e dopo la convinzione diffusa in Occidente che gli atti di “terrore” cominciarono a partire proprio dai bombardamenti Nato del 24 marzo 1999 – prima nemmeno la missione Osce aveva mai denunciato la pulizia etnica e le sparizioni si contavano da tutte le parti, come i primi 60 mila profughi – per non parlare della farsa di Racak. E’ di svolta l’affermazione, perché a farla è addirittura la Corte suprema di Pristina che giudica sotto egida Onu.
La verità è emersa da un piccolo episodio, il caso di Miroslav Vuckovic, un paramilitare serbo. Il 23 agosto del 1999 finì in carcere a Mitrovica. Il tribunale locale lo giudicò colpevole di “aver saccheggiato e bruciato abitazioni e negozi a Gusavac e Gornjisuvico” condannandolo a 14 anni di prigione e giudicandolo colpevole anche di genocidio.
Dopo due anni che hanno visto nel Kosovo sotto occupazione Nato una feroce contropulizia etnica a danno dei serbi e delle altre minoranze e mentre sia annuncia l’incriminazione all’Aja dell’ex leader Uck Hasim Thaqi, l’amministrazione della giustizia è più sorvegliata dall’Osce (deve farsi perdonare la direzione dell’americano William Walker?). Il paramilitare giudicato colpevole di genocidio aveva presentato appello e l’Osce ha appoggiato l’istanza di revisione. L’ultima parola spetta alla Corte suprema, organo giudiziario più alto in grado (Corte costituzionale). Giovedì l’assise voluta dall’Onu ha ribaltato la precedente sentenza sostenendo che “le violenze commesse dal regime del presidente Milosevic nel ’99 non possono essere qualificate genocidio, perché il loro scopo non è stato quello di distruggere i gruppi etnici albanesi, bensì di realizzare una campagna di terrore sistematico per obbligarli ad abbandonare la regione”.
Insomma, per la Corte di Pristina, i crimini di guerra c’erano, ma non si trattò di genocidio, ovvero dello sterminio pianificato di un’etnia e quindi Vuckovic dovrà venir riprocessato. E ora all’Aja che succederà? Sarà infatti più arduo accusare di un crimine così orribile Milosevic. E invece la Del Ponte alla seconda udienza del processo al’ex presidente jugoslavo, scusandosi per il ritardo, ha annunciato proprio sulla base di “nuove prove” l’incriminazione di Milosevic “per genocidio” per Kosovo, Croazia e Bosnia.
La decisione della Corte suprema di Pristina riflette un clima nuovo. Il leader Ibrahim Rugova si avvia a nuove elezioni smarcandosi dalla Nato, accusando l’Uck che gli ha decimato con attentati la sua leadership politica e in più denunciando come “farsa propagandistica” l’attuale raccolta di armi in Macedonia.