«Senza un’industria forte non si esce dalla crisi»

Secondo l’economista, i nostri problemi vengono da lontano e le politiche di questi anni di centrodestra hanno aggravato la situazione

«È del tutto inutile stare a discutere sui decimali. Guai a sedersi sulle prospettive congiunturali. La verità è che il prossimo governo si troverà a gestire un’eredità pesantissima. I problemi dell’economia italiana sono strutturali e di lungo periodo, e anni di governo Berlusconi non hanno fatto altro che aggravarli».
Il Fondo monetario vede nero: ha tagliato le stime di crescita per l’Italia, legandole anche al caro-petrolio, che sta frenando la ripresa in tutta Europa.
«Sono d’accordo: lo shock petrolifero colpisce a livello mondiale, anche se in modo differenziato. Siamo di fronte ad un cambiamento negli equilibri economici internazionali. La novità è questa: la Cina, in particolare, ha talmente bisogno di petrolio da comprare comunque, concorrendo quindi a mantenere alte le quotazioni di mercato. Il fatto è che per l’Italia questo nuovo shock di sicuro incide sullo sviluppo dell’economia, è insomma una causa di recessione, che però si aggiunge ad una lunga fase di declino». Parla l’economista Giorgio Lunghini, docente all’Università di Pavia.
Un declino che da qui alle elezioni non sembra avere alcuna possibilità di cambiare rotta. Nonostante la Finanziaria potrebbe rappresentare un’opportunità in questo senso.
«Hanno fatto di tutto per aggravare la situazione, non vedo perchè attendersi qualcosa di diverso proprio adesso. Anzi. In prossimità delle elezioni è tradizione che il governo ricorra alla spesa pubblica per farsi bello. Tutti gli indicatori macroeconomici confermano una situazione negativa molto seria. Il quadro non potrà che precipitare ulteriormente, anche perchè è impensabile qualsiasi obiettivo di reale e solida crescita. Decimali a parte, intendo».
Quali sono le linee di politica economica del governo che più hanno pesato?
«Il debito pubblico è aumentato, e questa è una delle cose peggiori che potessero capitare. Il governo precedente aveva realizzato un avanzo primario. Questo dell’onere del debito pubblico sarà uno degli elementi più difficile da gestire nel corso della prossima legislatura. Di certo, non si può sperare di ottenere risultati apprezzabili nel breve periodo. Senza contare che nei prossimi anni bisognerà trovare ingenti fondi anche a sostegno dell’apparato industriale…».
Intende per frenare il crollo della produzione industriale?
«Non solo. Ci sono interi settori industriali che andrebbero sostenuti nella loro trasformazione, migliaia di lavoratori che andranno accompagnati con ammortizzatori sociali. Pensiamo solo al tessile, per esempio».
O anche alla Fiat.
«Alla Fiat, certo. Ma anche qui, molte sono le conseguenze della politica del governo Berlusconi, che non ha minimamente sostenuto la produzione industriale. Un’industria robusta ci vuole, tutti i paesi ce l’hanno. E il governo dovrebbe averla in mente come una delle priorità».
Parla dell’industria di Stato?
«Ci sono parole scomparse dal vocabolario politico. Programmazione, per esempio. Di cui invece ci sarebbe un gran bisogno. La Francia la fa, la Germania la fa, e persino l’Inghilterra. Serve una politica governativa che sposti l’asse verso la produzione industriale, verso gli imprenditori anzichè verso i rentiers, chi vive di rendite finanziarie».
Ricapitoliamo: gli obiettivi dovrebbero essere quelli del risanamento del debito e della crescita, sostenuta dalla produzione industriale?
«Insieme a quello della giustizia sociale. Il che significa cessare subito lo smantellamento dello stato sociale, scuola, sanità, servizi pubblici. Sono obiettivi che vanno perseguiti insieme, contemporaneamente».
Difficile.
«Difficilissimo. La nostra è una situazione che impone scelte radicali. Non si può pensare di accontentare tutti. E, visto che negli ultimi anni i più colpiti sono stati i lavoratori, non vedo perchè nei prossimi non si debbano colpire i più ricchi».
Pensa alla tassazione delle rendite finanziarie?
«Anche. Trovo scandaloso che la rendita sia tassata molto meno rispetto ai redditi da lavoro. E poi non lo dico nemmeno per istanze moraliste: ridurre le imposte ai lavoratori e aumentarle ai più ricchi rilancerebbe la domanda per consumi».
L’eredità più pesante del governo Berlusconi, la prima, la più grave.
«L’involgarimento della vita economica e politica. Il che ha comportato anche la perdita di reputazione di tutte le istituzioni. Molto complicata da ricostituire».