«Senza maggioranza si rivota»

«O dimostriamo che la maggioranza c’è, oppure si torna al voto». E’ drastico Vannino Chiti, ministro per i Rapporti con il parlamento: toccherà a lui mediare, fino a giovedì prossimo, per cercare di ottenere la fiducia meno «fiduciosa» di questo governo. Ieri il consiglio dei ministri gli ha conferito il mandato per chiedere la fiducia sul disegno di legge più rovente di questa stagione: quello sul rifinanziamento delle missioni italiane all’estero, che sarà votato giovedì in senato, e sul quale pendono i voti negativi di ben nove senatori «dissidenti».
Il terreno dello scontro, ormai da settimane, riguarda la missione italiana in Agfhanistan. A quanto pare, solo il ricorso alla fiducia potrebbe portare i senatori ad appoggiare il governo. E se le rassicurazioni non sono mancate, tuttavia Romano Prodi sente ancora sulla pelle la ferita infertagli nel 1998, quando, proprio ponendo la fiducia, e per un solo voto, il suo governo cadde. La risicata maggioranza di oggi, composta di due soli voti al senato, lo rende quindi parecchio nervoso. Insomma: il presidente del consiglio convola sì verso la richiesta della fiducia, ma con parecchie riserve, e affida a Chiti il ruolo ingrato di gran timoniere della trattativa.
E il voto di fiducia, comunque, resterà la «extrema ratio»: l’ultima carta da giocare se ogni altra mediazione non dovesse andare in porto. D’altronde, di tempo per analizzare la situazione, ce n’è ancora a sufficienza: almeno fino a giovedì mattina. Cinque giorni nei quali può ancora accadere di tutto.
Il regolamento, infatti, prevede che la fiducia sul ddl possa essere richiesta anche poche ore prima del voto in aula. Ma c’è un secondo problema: in questo caso, il disegno di legge, dovrebbe tornare alla camera. Alle difficoltà in campo bisogna aggiungere che il Quirinale preferisce, sulla politica estera, l’intesa bipartisan (che il voto di fiducia esclude a priori). E non solo. Gi effetti sull’opposizione sarebbero deflagranti: porre la fiducia al senato, su una legge già approvata alla camera, suonerebbe come uno schiaffo a qualsiasi tentativo di dialogo. Anche se Berlusconi si lascia andare a un commento sibillino: «Penso che terremo la stessa linea adottata alla camera. Anche in caso di fiducia».
E così ieri Vannino Chiti ha trascorso gran parte della giornata cercando di capire se il passo sia conveniente oppure no. Il risultato migliore da portare a casa, per lui, sarebbe il seguente: dimostrare che il dissenso è fisiologico in qualsiasi maggioranza, e che è possibile esprimerlo, magari con dure dichiarazioni in aula, senza dover rischiare di mandare a casa il governo. In cambio, dovrebbe rassicurare i sioi interlocutori: dimostrare che non esiste alcuna intenzione di inglobare nella maggioranza «frange centriste» per isolare la sinistra radicale. L’operazione è piuttosto delicata. E infatti, almeno per il momento, la soluzione più gettonata resta quella del voto di fiducia.
Tra le tante ipotesi, spuntate ieri nella prima, vera giornata della trattativa, per ore ha tenuto banco una proposta alquanto barocca: porre la fiducia solo sulla missione in Afghanistan, lasciando fuori la parte che include Iraq. Qualche precedente pare ci sia e quindi l’operazione, in senso tecnico, si potrebbe anche portare a termine. Ma il punto è un altro: i «dissidenti» non gradirebbero di dover votare «sì» – senza se e senza ma – su tutto il resto. Quindi avrebbero puntato i piedi.
E per la diplomazia si torna al punto di partenza. Tra i dissidenti i più determinanti sembrano Gigi Malabarba (Prc) e Mauro Bulgarelli (Verdi). Il primo conferma che, anche in caso di fiducia, deciderà solo all’ultimo momento. Bulgarelli invece recalcitra: «La fiducia ha il sapore di una blindatura». Qualche aiuto, però, potrebbe arrivare lunedì dalla conferenza dei capigruppo in senato: il presidente Franco Marini fa sapere che s’impegnerà per raffreddare il clima ed evitare forzature. Salvo sorprese, infine, Prodi non incontrerà i senatori ribelli: creerebbe infatti un precedente scomodo da gestire in futuro. Altrettanto improbabile, almeno per ora, che intervenga in aula per una dichiarazione dal sapore distensivo.