Ieri sulle prime pagine dei nostri giornali più importanti campeggiava, in testata di prima pagina, la notizia che Stati uniti e Messico starebbero per comprarsi Telecom. In caratteri più bassi la grandissima preoccupazione del ministro Gentiloni e del governo.
Che dire? Che giudizio dare su questa iniziativa Usa-messicana (che, forse, sono la stessa cosa o, meglio, la stessa proprietà)? Il mio parere è del tutto netto e contrario. La storia della Telecom del dottor Colaninno, a cominciare dalla straordinaria scalata, è tutto il contrario di quella trasparenza che anche gli apologeti del mercato rivendicano, ma non seriamente.
La Telecom, malamente privatizzata, non va venduta agli americani. Non va venduta e non solo per il neocolbertismo dell’amico Tremonti, anche se in tempi di globalizzazione e cioè di concorrenza dei potenti, il buon Colbert qualche ragione la avrebbe. Riflettiamoci: ci sono i grandi principi, ma c’è anche la concretezza delle cose e degli affari.
Sono, siamo, contro la vendita di Telecom perché Telecom è il fondamento di una infrastruttura di primaria importanza come le autostrade, le ferrovie, la rete elettrica, quella degli acquedotti e quella delle comunicazioni, che non possono essere il regno di un privato, italiano o, peggio ancora, straniero.
Si tratta delle infrastrutture fondamentali di tutto: del mercato e anche del lavoro, della possibilità di viaggiare, bere acqua, comunicare etc.
A questo punto, proprio questo della vendita a un privato estero della Telecom, la posizione del governo italiano (direi dell’attuale governo italiano) non può essere solo «di grandissima preoccupazione». Un governo, se è tale, deve decidere e fare: deve dire sì o no e dare sostanza al suo no, tanto più che il capitale pubblico della Telecom è ancora non di scarso peso. Questo governo abbia il coraggio e la forza di passare dalla grande preoccupazione a un più semplice fare.
La questione Telecom (qualcuno mi ha chiesto: «e adesso chi farà le intercettazioni?») è troppo seria per lasciarla alla «grande preoccupazione» del ministro Gentiloni. La posta in gioco è troppo alta e deve essere il presidente del consiglio a dire che cosa vuole fare.
Romano Prodi, questa volta non può sgattaiolare, tra un sorriso e una smorfia come gli piace fare, e ormai, sempre a suo danno. Deve essere chiaro e netto e dire che vuole. E anche i neo fondatori del partito democratico dovrebbero dirci se vendere la Telecom agli americani è democratico o no. Ma se ritengono che sia democratico lo dicano, forte e chiaro anche al loro prossimo congresso.
Ps. Un discorso un po’ diverso, ma analogo, si dovrebbe fare sull’Alitalia. Innanzitutto capire meglio perché è andata in crisi e in secondo luogo chiedersi se sia di qualche utilità venderla alla Gasprom. L’Aeroflot è solo un nome.