«Senza exit strategy voteremo contro»

«Il generico monitoraggio non basta, ci deve essere un segno di discontinuità, un termine fissato almeno per una verifica. Insomma una road map da cui partire per lavorare al rientro delle truppe». Tra gli otto senatori decisi a votare contro il decreto di finanziamento della missione in Afghanistan, la verde Loredana De Petris è una delle più dure. Perché, come spiega lei stessa, la sua posizione è «politica», verrà valutata «collettivamente» e al momento non è sottoponibile a nessuna mediazione legata ai problemi di credibilità di un governo che si appresta a finanziare il proprio impegno militare all’estero solo grazie alla stampella dell’Udc.

Lei dice che nel decreto che rifinanzia la missione in Afghanistan, per quel che se ne sa, manca un tratto di distinzione dal passato. Non basta la commissione di monitoraggio?
Non basta anche perché un’osservatorio sull’Afghanistan esisteva già durante la scorsa legislatura, ne facevano parte parlamentari di destra e di sinistra che nel corso degli anni sono stati più volte a Kabul. L’ha letto il titolo in prima pagina su Europa oggi? Quel «Rimaniamo in Afghanistan però ne parleremo un po’…» dice tutto. Prodi deve capire che la situazione in Afghanistan non è migliorata anzi, e potrebbe peggiorare ancora.

Ma c’è un tema su cui potrebbe accettare di riaprire la discussione o ritiene che la permanenza delle truppe sia comunque inaccettabile?
Ci deve essere un segno di discontinuità forte che fissi i presupposti per la discussione. Vogliamo fare un monitoraggio? Bene, ma allora decidiamo che tra sei mesi questo monitoraggio sarà sottoposto ad una verifica. Il «rimaniamo e poi ne parliamo» non è sufficiente. Durante la scorsa legislatura ho votato per otto volte contro questa missione. Non sono un buffone e dico, come tra l’altro dice pure il senatore Andreotti, che la situazione in quel paese è peggiorata, che oltre al burqua oggi c’è la prostituzione, che i nostri alleati lì nei fatti sono i signori della guerra.

In concreto?
Una strategia di uscita, anche senza termini prefissati, visto che neppure dall’Iraq andremo via dopodomani, ma una strategia. Una road map. Se non c’è almeno un termine per far ripartire la discussione vuol dire che il governo non è neppure disposto a valutare l’ipotesi del rientro.

All’interno dell’Unione c’è chi propone di mettere la fiducia sul decreto. Lei sarebbe pronta anche a far cadere il governo?
L’ipotesi della fiducia in questo momento non è all’ordine del giorno. Bisogna prima leggere il decreto, poi ne discuteremo collettivamente ed elaboreremo una posizione. Non è un fatto individuale.

E se il decreto dovesse passare con i voti dell’Udc e senza i vostri? Non c’è il rischio che a quel punto la vostra presenza non sia più indispensabile?
Non credo. Su altri provvedimenti che fanno parte del programma dell’Unione non penso che l’Udc sarà disposta a votare insieme alla maggioranza.