Senza ali

Con le ultime contorsioni della Finanziaria, e con la perdita d’immagine dovuta alle esagerate richieste sociali, la quotazione dell’Italia in moneta liberista era andata parecchio in giù. Occorreva quindi reagire, mandare un segnale forte e inequivocabile all’insieme dei mercati internazionali. Ha svolto egregiamente questo ruolo il bando di gara del ministero dell’economia per la privatizzazione dell’Alitalia, reso pubblico poco prima di fine anno, il 29 dicembre.
Il ministro Tommaso Padoa Schioppa, dopo avere scritto e riscritto la Finanziaria fino all’esaurimento, una volta raggiunto il voto finale, si è ricordato di essere anche titolare del capitale Alitalia, o più precisamente del 49,9 % di proprietà pubblica; è stato dunque lui ad affidare alla banca d’affari internazionale Merril Lynch il compito di stilare il bando di gara relativo «all’acquisto di una quota non inferiore al 30,1% del capitale Alitalia». Comprare quel pacchetto implica un’offerta pubblica obbligatoria di acquisto per tutte le azioni esistenti, cioè un’Opa totalitaria.
Alla preselezione può partecipare chiunque, purché disponga di almeno 100 milioni. Può essere un capitalista italiano, europeo, globale; può essere un gruppo appena nato, chiamato newco perfino al Tesoro , un consorzio di imprese, un fondo d’investimento, un concorrente dell’Alitalia. La tipologia è larga e mostra l’assoluta assenza di vincoli da parte del venditore. Il governo italiano prevede «risanamento, rilancio, sviluppo dell’azienda», ma si tratta di parole che tutti avranno già sentite. Il governo allora si spiega meglio e «a titolo esemplificativo e non esaustivo» indica tra i parametri dell’accordo i livelli occupazionali, l’adeguata offerta di servizi e la copertura del territorio. Scorrendo il bando, poche righe dopo, c’è una diversa indicazione del Tesoro: a fianco ai servizi e alla copertura di prima, non ci sono più i livelli occupazionali, sostituiti dalla «salvaguardia dell’identità nazionale di Alitalia».
In altre parole, la partita è aperta. Ai blocchi di partenza vi sarebbero variegati raggruppamenti di banche, poteri finanziari, compagnie aeree concorrenti. I loro interessi, ben poco omogenei, non sembrano riuniti per salvare, con un moto di altruismo, la compagnia aerea di bandiera.
Non sembra neppure che al Tesoro nutrano un grande interesse per la soluzione. Neppure fare cassa vale in questo particolare frangente. Se ci sarà un’asta vera, tale da apportare un po’ di denaro all’erario, tanto meglio. Ma l’Alitalia può essere sacrificata per un obiettivo assai più importante. Quello di offrire a un paese tanto chiacchierato, per i suoi sindacati smodati, per i suoi comunisti al governo, per lo statalismo che ogni poco riaffiora, l’occasione di fare il primo della classe, superando gli altri governi europei che mantengono forme di controllo sulle compagnie aeree nazionali, sullo stesso governo di Washington che limita al 25% la presenza di stranieri nel controllo di compagnie aeree.
L’Italia diventerà così il paese che dopo avere a lungo tergiversato, è diventato il modello per tutti, ha superato in tromba il modello di Thatcher e di Reagan, ha venduto la compagnia aerea ai francesi di Chirac, ai potentati del Golfo, ai cinesi; oppure a questo o a quel consorzio, sponsorizzato dal sindaco di Milano, di Roma, dal ministro degli esteri…. Ha venduto a chiunque, ma comunque ha venduto.
Senza più ali per volare, infine, ma per una volta primi della classe.