Sempre più soldati Usa al fronte

George W. Bush manda più soldati in Iraq ed in Afghanistan. La decisione è stata presa a bordo dell’Air Force One, durante il volo fra San Paolo e Montevideo, quando il presidente degli Stati Uniti ha firmato la lettera con cui richiede al Congresso di autorizzare la spesa di 3,2 miliardi di dollari aggiuntivi per la guerra al terrorismo, al fine di inviare in tempi stretti altri 8200 uomini sui due fronti del conflitto: 3500 in Afghanistan e 4700 in Iraq.
Il passo della Casa Bianca è legato a quanto sta avvenendo su entrambi gli scenari militari. In Afghanistan la Nato sta iniziando un’offensiva tesa a sradicare la presenza dei taleban nelle regioni del Sud ed ha bisogno di più uomini in ragione della persistente decisione di numerosi alleati – incluse Germania, Italia e Francia – di non inviare ulteriori truppe oppure di non consentire il loro impiego nelle zone più a rischio. Proprio gli Usa si trovano al comando del contingente Nato e, dopo la decisione britannica di inviare 7000 uomini, Washington vuole espandere tanto la presenza delle truppe speciali quanto delle unità impegnate nell’addestramento delle nuove forze armate del governo afghano.
Gran parte dei 3500 soldati destinati a Kabul saranno comunque impegnati in zona di combattimento e lo stesso vale per i 4700 in partenza per Baghdad, dove andranno ad aggiungersi ai 21500 rinforzi già impegnati dal generale David Petraeus per incalzare le bande armate sciite e sunnite. Il documento firmato da Bush specifica, riguardo l’Iraq, che 2400 uomini servono per operazioni di combattimento, 2200 per compiti di polizia militare e 129 per la protezione dei civili impiegati nella ricostruzione. Era stato proprio Petraeus pochi giorni fa a sottolineare l’invio di nuove truppe spiegando che «il piano per la sicurezza si sta espandendo» ed inoltre che «l’incremento del numero delle persone arrestate comporta la necessità di polizia militare».
Ma non è tutto: fonti militari a Washington leggono la decisione di Bush sull’Iraq come la conferma che l’arrivo dei rinforzi ha migliorato la situazione a Baghdad e dunque le nuove truppe serviranno per impedire il ritorno dei miliziani che hanno abbandonato la città. La tesi di un «miglioramento della situazione» è stata tuttavia messa in dubbio ieri da un attentato suicida messo a segno dalla guerriglia sunnita nella capitale, causando la morte di almeno 32 pelligrini sciiti. Il vice Segretario alla Difesa, Gordon England, parla apertamente di un possibile, ulteriore, aumento del contingente di rinforzi «fino a 28 mila uomini» nelle prossime settimane.
Se la scelta di inviare più soldati si spiega con ragioni di tattica militare, sul fronte politico Bush è destinato a scontrarsi con un Congresso a maggioranza democratica già contrario alla scelta di schierare i rinforzi in Iraq. Il più deciso avversario di aumenti di truppe a Baghdad, il senatore del Massachusetts Ted Kennedy, ha commentato il passo della Casa Bianca rilanciando nei confronti di Bush l’accusa di «un’escalation militare» che ricorda quella del Vietnam. Senza l’assenso della Camera dei Rappresentanti, che controlla la gestione delle finanze, Bush non riuscirà a finanziare il nuovo aumento di truppe ed al fine di andare incontro alla presidente democratica Nancy Pelosi la Casa Bianca ha proposto di recuperare i 3,2 miliardi necessari tagliando una somma equivalente da un capitolo di spesa del Pentagono dedicato allo sviluppo di armamenti «non prioritari». La palla adesso è nel campo dei democratici, posti di fronte ad un difficile bivio: rifiutare i fondi li espone al rischio di apparire anti-patriottici e di opporsi al conflitto afghano – che invece sostengono – mentre dare luce verde a Bush rischia di alienargli il sostegno di quel 63% di americani che – secondo un sondaggio della Nbc – si oppone all’invio di truppe in Iraq. Bush punta proprio a mettere in difficoltà i leader democratici sfruttando a proprio favore anche l’impatto positivo della Conferenza di Baghdad, salutata come un «successo» da senatori liberal come Jim Webb poiché ha visto per la prima volta diplomatici americani ed iraniani dialogare ufficialmente sull’Iraq.