Contro le gerachie istituzionali del partito, Ségolène Royal si è fatta eleggere alla candidatura dai militanti, grazie alle forze nuove entrate nel Ps con la tessera a 20 euro. Ha usato abilmente Internet, si è spesain innumerevoli incontri di «democrazia partecipativa». E’ la prima donna che si trovi a poter vincere un’elezione presidenziale nella V Repubblica, e dichiara di essere una «socialista del XXI secolo». Ha evitato l’errore di dire «il mio programma non è socialista», che costò carissimo a Lionel Jospin nel 2002, ma si dice «sufficientemente autonoma per non lasciarmi rinchiudere in nessun dogma». Il partito socialista gioca grosso: se Royal non arriverà al ballottaggio – sarebbe la seconda volta consecutiva per la sinistra, la terza nella storia della V Repubblica – esploderà.
Ségolène è stata accusata di tutto, in particolare di «incompetenza» per alcune gaffes notevoli (ma le stupidaggini di Sarkozy non sono parse a nessuno motivo di dubitare della sua capacità presidenziale). Contro Sarkozy, il «padre severo», ha giocato più la carta della «mamma» che della donna: la Repubblica che rassicura, «donnant-donnant», la protettrice che vuole «far uscire la Francia dalla depressione».
«E’ tempo di abbandonare le logiche di scontro per andare verso logiche di dialogo» ribatte a Sarkozy, che erige una Francia contro l’altra. Parla di «società solidale», ma rifiuta «l’assistenza». Ha scombinato le posizioni tradizionali del Ps, prendendo idee a prestito da Tony Blair – un’eresia nella sinistra francese – guardando al «modello» scandinavo e anche a Zapatero (è stata anche soprannominata la Zapatera, prima di diventare «Bécassine», la domestica bretone dei fumetti un po’ troppo ingenua). Ha lasciato un po’ da parte il programma elettorale del Ps, per un più agile «patto presidenziale» che riecheggia quello di Mitterrand, di cui si dice l’erede. Ha fatto affermazioni iconoclaste sul simbolo del governo Jospin – le 35 ore – per recuperare un dialogo con le classi popolari, non sempre avvantaggiate dall’orario ridotto.
Con l’espressione un po’ messianica dell’ «ordine giusto» promette di mettere in riga una società scombussolata, dai «giovani delinquenti» da inqudrare militarmente, alla scuola che deve tornare un santuario senza violenza, alle famiglie, con le donne a volte vittime di soprusi. Ha alle spalle un bilancio ministeriale di leggi sociali non trascurabile.
Ségolène è stata accusata di virare a destra nel competere con Sarkozy sull’«identità nazionale», sponsorizzando «il tricolore in ogni casa» e la Marsigliese, che fa cantare nei comizi. Una via per ricostruire, con la facilità di un’immagine, una base per le solidarietà in frantumi. Ha capito che la società è sulla strada di una decomposizione pericolosa. Ma condivide con tutti gli altri l’idea che la ricomposizione possa avvenire per via « nazionale». Non guarda all’Europa. Nel suo socialismo del XXI secolo, anche se cerca di recuperare alla sinistra le classi popolari che le avevano voltato le spalle, non c’è molto posto per le classi sociali: al loro posto si è insediata la «sofferenza» degli individui.