Ségolène: “a sicurezza? Hanno ragione i sindaci”

Ségolène parla dolce e spara forte. Potrebbe essere questa la formula del suo appeal? Perchè di appeal ne ha a palate, ed è molto facile confonderlo con il fragile incedere sui tacchi a spillo, quello sguardo sereno mai appannato, la femminilissima voce che sale e scende, e a volte si rompe. Si rompe in particolare proprio sui vocaboli della narrativa delle donne che intersecano tutto il suo discorso quasi scappati al controllo del politico. Ségolène Royal parla infatti senza disdegnare parole come «tristezza», «dolore», «felicità», «gratitudine», un lessico come di una lontana ombra di autocoscienza rimasta identità ormai inconscia nella lingua delle donne occidentali della sua età. E’ questo il dolce della sua presenza: arriva nel giardino dell’hotel dove è ospitata a Bologna e gli sfaccendati fattorini si risvegliano, esce a prendere la macchina e tutti gli autisti delle auto blu si mettono in fila, Piero Fassino si china in due sullo scarso metro e sessanta di lei per farle fendere la folla, e sul palco il popolo del festival dell’Unità scatta in piedi con un applauso che fa apparire svogliati tutti gli altri di prima. Diamine, pensi – mentre lei subito risponde all’applauso con un suo applauso – questa donna potrebbe essere qui e recitare l’elenco telefonico e probabilmente manderebbe comunque tutti in visibilio. Ma è un pensiero errato, e, per certi versi, malizioso.
Se qualcuno infatti guarda lei e pensa dolce, velluto, bellezza, donna,
non ha il tempo di tirare il fiato che arriva lo sparo: «Credo che ciò che conta sia capire la gente» risponde alla domanda sui sindaci italiani che chiedono poteri di polizia. «C’è un principio fondamentale nella Costituzione, ed è il diritto alla sicurezza, alla libertà di entrare ed uscire di casa. Siamo ben coscienti che coloro che sono più esposti alla insicurezza sono proprio le categorie più modeste e per troppo tempo abbiamo vissuto un fossato fra una ideologia di sinistra e il vissuto quotidiano di milioni di persone. Accade che c’è un grande divario fra l’esperienza degli amministratori di sinistra e il discorso ideologico. Invece c’è una risposta di sinistra alla questione della sicurezza, che consiste nel dire che ci sono tanti tipi di insicurezza – futuro, scuola, lavoro, diritto e corpo – e che tutti sono collegati fra loro». Vero è che questa è Bologna, la città del sin-daco-sceriffo Cofferati, ma ugualmente c’è una spericolata chiarezza in queste parole. Accolte per altro con fragoroso consenso.
Chi era venuto al festival dell’Unità di Bologna per vedere come cade un idolo, si trova di fronte a una Ségolène che pochi mesi dopo una rovinosa sconfitta appare non senza ferite, ma pericolosamente pronta a riprovarci. Laddove questo «pericolosamente» vale forse un po’ per sé stessa, di cui oggi così racconta il cambiamento: «Sono anche io una persona nuova e sarebbe impossibile essere rimasti gli stessi dopo aver vissuto una campagna di tale intensità, gioie, colpi bassi, dolori, con il popolo e la sua mobilitazione ma anche con tante tristezze». Ma vale ancora e soprattutto per i suoi avversari.
La ex candidata presidenziale non fa attacchi diretti ai suoi colleghi di partito, tuttavia non esita a ricordare le incomprensioni e a rivendicare la sua capacità di stare avanti al suo stesso partito: sulla «necessità di rinnovamento che ho sostenuto, come ora fate voi in Italia, e che tanti attacchi ci hanno portato»; sulla sicurezza «che era un tabù e quando ne ho parlato per prima i più violenti e duri nell’attaccarmi sono stati proprio i socialisti»; e sulle alleanze, «come quando ho teso la mano a Bayrou, ma è stato mal capito da una parte dei socialisti. Certamente quel gesto era troppo anticipatore». Su tutto questo, dice, «il dibattito nella sinistra francese è aperto, teso, energico, e dovrà trovare un chiarimento prima del prossimo congresso». Aggiunge a questo punto, «come state facendo in Italia», ma c’è poco di così lontano dall’Italia come questa sfilza di aggettivi. E dopo averli sentiti, non sono molti in sala a credere alla sua risposta alla domanda obbligata: «Si candiderà dunque alla segreteria del partito socialista in futuro?». «Troppo presto» dice e non un’ombra passa sul suo viso nello sfiorare una nuova sfida con il suo marito separato Hollande, attuale segretario del Ps, né a nessuno di noi viene in mente di citarlo, tanta è la cura con cui Ségolène ha fatto sapere a tutti prima della intervista di non accettare nemmeno un accenno alla sua vita privata.
Ma il punto in cui forse brilla di più la sua dolce cattiveria è l’incrocio perfetto delle sue polemiche, l’argomento dei socialisti (inclusi gli italiani) che hanno risposto alla chiamata di Sarkozy. «Sarkozy ha capito quello che io stessa avevo capito subito, e su cui come sempre sono stata attaccata. Ha capito che molti francesi non si considerano né di destra né di sinistra. E dunque sta cercando di creare una illusione che dia la sensazione che si procede su una strada unanime, la illusione della illusione. Ma quel che vale alla fine saranno i fatti». E, a proposito di fatti, dà un consiglio affettuoso ai suoi colleghi socialisti «che vengono contattati oggi – perché il telefono funziona, ancora, sa» precisa, con un disarmante sorriso – «gli dico, aspetta un po’, aspetta che venga fatto almeno il bilancio di questa prima ondata». «Penso di poter dire senza esacerbare troppo la polemica che l’apertura di Sarkozy è molto abile, ma che noi saremo molto attenti al domani e a quello che questo domani si porterà. Ritengo il Presidente ancora molto settario e molto preso dal confronto contro di noi».
In una lunga serata, un solo nome strappa questa perfetta rete di
ghiaccio e passione. Alla domanda elaborata con una certa attenzione -«Considera corretto da un punto di vista istituzionale il ruolo attuale della First Lady?» – si tira indietro, poi non riesce a impedirsi di ridere di se stessa: «Oddio, non è una risposta facile…» ma continua scegliendo con cura le parole: «Dunque… l’Eliseo ha annunciato che a settembre definirà il ruolo ufficiale della moglie del Presidente. Aspettiamo che questa definizione ci sia…» poi ci ripensa e affonda, dolce e infame Ségolène, «io comunque credo che l’avversario politico sono le azioni, non i comportamenti, credo che i Francesi sappiano distinguere bene categorie e comportamenti, e io non accuserei mai comunque la moglie del Presidente della Repubblica».