Se c’è una cosa di cui tutti (o quasi) sembrano convinti è che viviamo in un mondo pieno di guai ma “almeno” possiamo considerarci liberi. Che è come dire “poveri ma belli”. Anzi “povere ma belle”. Visto che le donne godono oggi, apparentemente, di una libertà sconosciuta prima.
Se è così perché Giosetta Fioroni disegna “Una Venere in gabbia”? Quel volto di donna ritagliato da quattro segni decisi, che sembrano tracciati con il bisturi, guarda verso l’alto. Gli zigomi sono sporgenti, vasti gli occhi, turgide le labbra, il naso piccolo e all’in su. Ma sopra quel viso svetta un cranio liscio come una lampadina.
Per metà quel viso è archiviato (come una pratica), dentro una gabbia tracciata con tratti più sottili di penna a sfera. Sin quasi alla radice del naso sale la gabbia. Una maschera metallica che impedisce di parlare (pensare) liberamente. Che impedisce a Venere di essere come è.
A questa donna, forse per la rabbia, sono caduti i capelli (Venere non tollera di stare in gabbia). Ma quello che è grave è che di donne prigioniere (di uomini anche) ce ne sono tante, troppe e troppo poche consapevoli di esserlo e reattive. Una specie di intossicazione generale che rende tutti docili e passivi.
L’idea, dice Giosetta, è che “la nostra contemporaneità metta tutto in gabbia, sotto sorveglianza globale…anche la femminilità…anche l’amore”. Quel volto di donna non potrebbe mai baciare nessuno o essere baciato. Non potrebbe mai sussurrare all’orecchie parole d’amore. Non potrebbe mostrarsi a un ragazzino senza spaventarlo.
Spezzare quella gabbia. Liberare quelle labbra e quella lingua per permettere ad esse di parlare, sussurrare, fare giochi d’amore e gridare. E’ una cosa che serve ma non è detto che basti perché la gabbia vera, quella che è più difficile spezzare, sta dentro la testa calva e non si vede.
Noi vogliamo segarle tutte quelle sottili sbarre d’acciaio. Sono certo che si libererebbero farfalle, parole d’amore, note d’argento (il colore che piace a Giosetta), piccoli cuori rossi e grida di rivolta. E forse, finalmente, su quel povero cranio glabro ricrescerebbero i capelli.