Venti morti, tra suicidi e malattie, nell’ultimo anno e mezzo. E’ questo il triste primato del carcere di Secondigliano, periferia di Napoli Nord, a due passi da Scampia. Un carcere che ospita 1.475 detenuti per una capienza ufficiale di 1.028 posti, con un Centro Clinico in cui vi sono circa 40 detenuti affetti da HIV. Gli ultimi suicidi, tre, da questa primavera ad oggi, appaiono solo l’epilogo di una manifesta situazione di crisi.
Una primavera di morte
La contabilità, alquanto triste, ha subito infatti una rapida accelerazione. Ultimo, in ordine di tempo, Carmelo Perrone, 43 anni, deceduto il primo luglio (ma la notizia è trapelata soltanto una settimana dopo) all’Ospedale Cardarelli, proveniente dall’Istituto penitenziario di Secondigliano. Perrone è stato ricoverato in ospedale appena due giorni prima il suo decesso; è arrivato in ospedale in condizioni ormai critiche e disperate. Non proveniva dal Centro Clinico del carcere, ma semplicemente dalla sezione Infermeria. Da tempo si mostrava apatico, in condizioni fisiche di evidente disagio, a sentire le testimonianze; ma la sua morte sembra dimostrare che la sua malattia non ha incontrato né attenzione né cura.
Lorenzo Pino, 47 anni, fine pena nel 2007, si è ucciso il 23 maggio, impiccandosi nella sua cella di pomeriggio. La sorella, Lucia, denuncia che al dolore per la scomparsa, si è aggiunta anche l’umiliazione di apprendere la notizia solo due giorni dopo. «Ho ricevuto il 25 la telefonata di un conoscente che mi informava che era accaduto qualcosa di brutto. Quando mi sono recata presso al direzione dell’Istituto ho appreso che mio fratello era morto due giorni prima». Nessuno aveva avvisato la famiglia. Un compito, spiega la direzione dell’istituto, che spetta ai carabinieri e non all’amministrazione penitenziaria. Lorenzo aveva problemi di salute, più volte aveva richiesto assistenza – a detta dei familiari – senza ricevere risposta. La sua pena sarebbe finita nel 2007, ma quei pochi mesi che mancavano alla libertà devono essere sembrati eterni. La sua morte ha chiuso un mese tragico, quello di maggio, che si è aperto con la scomparsa per malattia di Domenico Libri, morto nel Centro Clinico, all’età di 72 anni.
Il 18 maggio si è invece tolto la vita, sempre impiccandosi, Lucio Addeo, 44 anni, imprenditore. Addeo, titolare di un’azienda di ortofrutta, era in carcere da pochi mesi, coinvolto in un’inchiesta cui si proclamava estraneo. Ai colloqui era emerso lo stato di profonda depressione in cui era caduto dopo l’arresto, ma i timori della famiglia sono valsi a poco; nessuna vigilanza particolare è stata attivata. Il 23 marzo si era invece tolto la vita Ovidiu Duduianu, rumeno di 32 anni, detenuto in isolamento, la sua condanna era appena divenuta definitiva. Due giorni dopo, un detenuto di 73 anni, Luigi Fiorenza, è morto dopo il trasporto in ospedale. Mentre il primo aprile Salvatore Livello moriva, per malattia a soli 48 anni.
Non potete avere idea
«La situazione è molto più drammatica di quanto la mente umana possa immaginare» scrive Mario Scrimieri, ex detenuto, ricordando al sua esperienza a Secondigliano. Francesco Caruso (indipendente del Prc), che ha inaugurato il suo mandato di parlamentare visitando istituti di pena in mezza Italia, ha depositato, due settimane fa, un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia che disegna un quadro a tinte fosche delle condizioni di alcuni reparti da lui visitati nel carcere napoletano. Cinque detenuti della Terza Sezione Infermeria «Psichiatrica» sono stati trovati in celle prive di ogni mobile, «se non di un letto e un materasso in gommapiuma, senza lenzuola, tavolo, sedie e persino carta igienica (…) i bagni sono sprovvisti di porte e pertanto laddove in cella vi sono due detenuti ognuno deve effettuare i suoi bisogni fisiologici alla vista dell’altro». Lo stesso Caruso racconta di essere rimasto molto stupito quando ha visto una cella, in almeno due occasioni, sulla cui porta di ingresso vi era scritto «sala di coercizione fisica» con un letto di contenzione utilizzato per detenuti con problemi psichiatrici. Nessun medico risultava presente in reparto al momento della visita.
L’allarme degli educatori
E’ evidente che la crescita esponenziale della popolazione detenuta (più che raddoppiata negli ultimi dieci anni) ha determinato una generale crisi del sistema penitenziario. Eppure il numero di decessi avvenuti nel penitenziario campano, sembra richiedere un supplemento di analisi. Imma Carpiniello, dell’Associazione Antigone Napoli, che per prima ha segnalato gli episodi di suicidio, spiega «è vero che il costante taglio del governo di centrodestra che, nelle ultime tre finanziarie ha ridotto le risorse, ma è anche vero che la presenza in questo carcere di un Centro Clinico non appare un’argomentazione valida, in quanto in altri istituti che ospitano analoghe strutture (Pisa, S. Vittore, Parma, Poggioreale) non si ha una così alta incidenza di decessi ».
Anche Samuele Ciambriello, presidente dell’Associazione Città Invisibile, concorda su una crisi che, spiega «dipende da una grave insufficienza di uomini e risorse». Certo, se si cercano le cause di questa crisi, viene alla luce un documento presentato dagli educatori ben sei anni fa all’allora direttore del Dap, Giancarlo Caselli, che riletto oggi sembra essere tristemente profetico.
«A Secondigliano – scrivevano gli educatori nel 2000 – sono in servizio 900 poliziotti penitenziari e 9 educatori (su un organico previsto di venti unità); il rapporto operatore/utente per questi ultimi è di 1 a 170. Gli psicologi sono appena 5, assunti con convenzioni che offrono 30,5 ore mensili di consulenza (circa mezzo minuto al giorno per utente). I detenuti con posizione giuridica di definitivo, quelli per cui la legge impone di attivare la cosiddetta osservazione scientifica della personalità, sono quasi 900». Oggi, la situazione appare peggiorata con l’aumento dei detenuti definitivi, circa 1.100, e la diminuzione degli educatori.
Il nuovo garante per i detenuti
La gravità della situazione è evidente. Il Consiglio regionale della Campania ha approvato, all’unanimità, il cinque luglio scorso, la proposta, firmata da Luisa Bossa (Ds), presidente della Commissione Regionale politiche sociali per l’istituzione del Garante Regionale per le persone ristrette. Ma in attesa di un provvedimento di amnistia e di indulto e di un intervento del nuovo governo che inverta la rotta tracciata da Castelli, i nodi da sciogliere sono ancora molti.
Beppe Battaglia, della Federazione Città Sociale, segnala la criticità delle condizioni dei detenuti affetti da Hiv. Da diverso tempo si verificano delle difficoltà nel servizio scorte e traduzioni, che ha il compito di accompagnare i detenuti ai controlli medici che si svolgono nel reparto malattie infettive del vicino ospedale Cotugno. Un problema, quello delle scorte, che costringe spesso i detenuti, anche di altri istituti, a saltare visite e controlli. Un problema di carenza di personale che, insieme ad una cattiva organizzazione, mette ulteriormente a rischio la salute di persone già gravemente malate.
Francesco Maranta (Pdci), componente della Commissione regionale Sanità sino ad un anno fa, attribuisce le difficoltà «ad una mancata riforma della sanità penitenziaria, che ha determinato incertezza di competenze tra regioni e ministero». Con il contingentamento delle spese anche la disponibilità di farmaci all’interno dell’istituto è diventata difficile, con oltre il 60% della popolazione detenuta che soffre di patologie croniche. Quali che siano le cause di molti decessi è difficile dirlo, ma è certo che su molte morti permane un alone di incertezza. La morte di Luigi Maione (vedi box) presenta aspetti poco chiari, almeno a sentire le testimonianze dei suoi compagni di cella.
Ancora non chiarita neppure la morte di Francesco Pirozzi, che nel novembre 2004 è deceduto in carcere per overdose. Non si è mai stabilito chi gli ha fornito la dose fatale. Mentre per il caso di Domenico Del Duca, affetto da Hiv, morto a dicembre del 2004 dopo un’irruzione con idranti di agenti di polizia penitenziaria nella cella in cui si era barricato, il pubblico ministero della Procura di Napoli, Maria Rosaria Bruni, ha disposto l’archiviazione. Complessivamente, nell’istituto di pena, già al centro di due inchieste della magistratura, entrambe concluse con l’assoluzione degli agenti indagati per maltrattamenti, sono venticinque i suicidi negli ultimi due anni. Dati che si possono archiviare nei procedimenti penali, più difficilmente nelle coscienze civili.