«Un gesto inconsulto», «irresponsabile», «un’operazione di ceto politico». Fra i bertinottian-vendoliani, quelli che non sono d’accordo con la scissione non usano tante cortesie per commentare l’intervista di Franco Giordano che, ieri su Repubblica, annunciava la scissione (anche se in giornata l’ex segretario ha attenuato il senso delle sue parole). Che nella minoranza Prc si stesse consumando la scissione fra ‘scissionisti ‘ e ‘non’ era cosa nota, persino pubblica. Ieri però è uscito allo scoperto un folto gruppo di dirigenti che hanno dato battaglia al congresso nella mozione due, al fianco di Nichi Vendola, ma che adesso non hanno nessuna intenzione di abbandonare il partito a Paolo Ferrero e alla sua composita maggioranza. Che fra l’altro, spiegano in molti, rischia di saltare da sé a ogni piè sospinto: tanto varrebbe almeno a aspettare. Sono una trentina di componenti del comitato politico nazionale, il parlamentone del partito, d’accordo su quella che al momento è una bozza. Sarà discussa e presentata ufficialmente sabato in una riunione autoconvocata significativamente nella sede del partito fra quelli che, appunto, dicono no alla scissione. Fra i firmatari, nomi di peso: gli ex parlamentari Augusto Rocchi, Milziade Caprili, Luigi Cogodi, l’europarlamentare Giusto Catania, Rosa Rinaldi, Raffaele Tecce, Tommaso Sodano, Sandro Valentini; i segretari delle federazioni di Cagliari e Palermo; i segretari della Sardegna e della Calabria, molti provenienti dell’area operaista e sindacale. La stessa di Dino Greco, il cigiellino ex bertinottiano che Paolo Ferrero (forse non a caso) ha scelto per la direzione del giornale del partito. Altri non hanno firmato per le funzioni che ricoprono, come Salvatore Bonadonna, presidente dei garanti Prc, ma in sostanza sono d’accordo. Altri non firmano ma hanno pubblicamente espresso opinioni simili, come l’ex braccio destro di Bertinotti Alfonso Gianni. Qualcuno, come il tesoriere Sergio Boccadutri, viene tirato in mezzo e smentisce di essere della partita. Ma il gruppo è nutrito e destinato, a quanto pare, a raccogliere altre adesioni.
Il testo del documento, intitolato «Continuare il cammino per Rifondazione della sinistra», non rinuncia a una dura polemica con la linea della maggioranza. E, nella parte del ‘che fare’, si articola su tre punti. Il primo, riassunto in sostanza: non si può pretendere di avviare un processo costituente di un soggetto unitario a sinistra passando per l’ennesima scissione, e finendo per creare una ‘cosa’ che assomiglia ad un «arcobaleno in piccolo». Il secondo: i firmatari intendono continuare a battersi per la ricostruzione della sinistra, ma nella consapevolezza che si tratta di un processo «di medio periodo», che esclude scorciatoie o accelerazioni che prescindano dalla ricostruzione della sinistra nei territori. Il terzo è «l’autonomia del progetto di trasformazione della società»: tradotto da Augusto Rocchi, l’ex sindacalista fra i principali ispiratori del testo, «a sentire i compagni di Sinistra democratica, tutto ruota intorno alla riedizione del centrosinistra e al tema del governo. Per noi no». Quindi, spiega, d’accordo con Giordano e gli altri nel battersi per un cartello comune della sinistra alle europee, «ma deve essere davvero comune. Se invece, come sembra, non ci sta il Pdci e non ci stanno i verdi, è molto meglio andare con il simbolo e le liste del Prc. Insomma, non possiamo opporre alla costituente dei comunisti che vuole Ferrero un cartellino fra noi e Sd».
Come lui sembrerebbero pensarla in molti fra i vendoliani del nord, buona parte dei siciliani, un pezzo importante del partito in Campania. Senz’altro la torinese Marilde Provera: «La scissione è un’errore, dobbiamo invertire la tradizione dei distinguo e delle scissioni e inaugurare quella delle sintesi. Ed è un’accelerazione tutta politicistica, quella che già tempo addietro avevamo combattuto dicendo no alla formazione che proponeva il professor Asor Rosa. E che adesso si ripropone in forma persino peggiore. Ed è sconfortante: con un’operazione così rischiamo di recuperare qualche punto alle europee, ma di essere poi tutti più divisi e più poveri». La battaglia per l’unità continua, all’interno e all’esterno del Prc, conclude Provera, «e porta risultati: alla regione Piemonte siamo riusciti ad ottenere, oltre i finanziamenti centrali, 40 milioni di euro per i lavoratori che perdono il lavoro, compresi quelli delle cooperative sociali. E da lotte di questa natura che si fa l’unità, non da operazioni di ceto politico».
«Dobbiamo essere coerenti con quello che abbiamo detto ai ventimila compagni che hanno votato la mozione due al congresso», attacca Salvatore Bonadonna. «Dicevamo che chi ci accusava di scissionismo agitava un feticcio strumentale? Era una balla?». Lui si dichiara «contrario alla logica delle cordate», ma accusa i dirigenti vendoliani di «reagire con rabbia alla sconfitta congressuale. Costruire ex novo le forme della politica, puntare a un vero rinnovamento è un lavoro di lunga lena e di molto studio. E poi chi vuole uscire dal Prc dove se ne va? Verso un accordino con Sd? In un’associazione? Non è un troppo poco rispetto all’ambizione grande che ci siamo dati?».