Se lo stato si fa terrorista

In guerra si può fare tutto? La domanda insegue i belligeranti da millenni, ma l’Occidente capitalistico ha provato a fissare i confini di “diritto minimo” da rispettare anche nei conflitti, fino a istituire “tribunali internazionali” che nessuno potrà mai definire “terzi” rispetto agli stati più potenti. Anzi, col declinare del rigore morale post seconda guerra mondiale, sono stati di fatto conservati come belletto legale di decisioni politiche imperiali.
Il caso Bin Laden non sembra fare eccezione (“sceneggiature” hollywoodiane comprese). Infila qui la sua critica Leonardo Boff, teologo della liberazione inviso alla chiesa di Woytila.

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Per approvare il nefasto crimine terrorista compiuto da al Qaeda l’11 settembre 2001 a New York, uno deve essere nemico di se stesso e contro i valori umanitari minimi.
Ma è inaccettabile che uno Stato, il più forte del mondo sul piano militare, per rispondere al terrorismo si sia trasformato anch’esso in uno Stato terrorista. È quello che ha fatto Bush, limitando la democrazia e sospendendo a tempo illimitato alcuni diritti in vigore nel paese. E ha fatto di più, ha scatenato due guerre, una contro contro l’Afghanistan e l’altra contro l’Iraq, dove ha devastato una delle culture più antiche dell’umanità e in cui più di centomila persone sono state uccide e più di un milione costrette a fuggire.
Bisogna ripetere la domanda che quasi a nessuno interessa fare: perchè si sono compiuti questi atti di terrorismo?

Il vescovo Robert Bowman, di Melbourne Beach in Florida, che prima era stato pilota di cacciabombardieri durante la guerra in Vietnam, ha risposto con chiarezza, sul National Catholic Reporter, con una lettera aperta al presidente: «Siamo bersaglio dei terroristi, perchè, in buona parte del mondo, il nostro governo difende la dittatura, la schiavitù e lo sfruttamento dell’uomo. Siamo bersaglio dei terroristi perchè ci odiano. E ci odiano perchè il nostro governo fa cose odiose».
Richard Clarke, responsabile anti-terrorismo della Casa bianca, in una intervista a Jorge Pontual diffusa da Globonews il 28 febbraio 2010 e ritrasmessa il 3 maggio scorso, ha detto sostanzialmente le stesse cose.
Aveva avvertito la Cia e il presidente Bush che un attacco di al Qaeda a New York era imminente. Non lo avevano ascoltato. Subito dopo successe quel che successe e questo lo riempì di rabbia. Una rabbia contro il governo che aumentò quando sentì che Bush, con menzogne e falsità dettate dalla pura volontà imperiale di mantenere l’egemonia mondiale, proclamò una guerra contro l’Iraq, che non aveva nessuna connessione con l’11 settembre.
La rabbia arrivò al punto tale che per salute e decenza si dimise dalla carica.

Ancora più contundente è stato Chalmers Johnson, uno dei principali analisti della Cia, in una intervista del 2 maggio scorso a Globonews. Lui conosceva dal di dentro i malefíci effetti prodotti dalle oltre 800 basi militari Usa sparse in tutto il mondo, in quanto provocano rabbia e rivolta nelle popolazioni e sono il brodo di coltura del terrorismo. Cita il libro di Eduardo Galeano «Le vene aperte dell’America latina» per dare esempi delle barbarità compiute dagli organismi della intelligence Usa nei nostri paesi. Denuncia il carattere imperiale dei governi, fondato sull’uso dei servizi per fomentare colpi di stato, organizzare l’assassinio di leader e insegnare i metodi di tortura. Per protesta si dimise e diventò professore di storia all’università della Califórnia. Ha scritto tre volumi «Blowback» (rappresaglia) dove prevedeva, con qualche mese di anticipo, le rappresaglie contro la prepotenza Usa nel mondo. Lui fu come il profeta dell’11 settembre.
Questo è il quadro di fondo per capire la situazione attuale, culminata nell’esecuzione criminale di Osama bin Laden.
Gli organi della intelligence Usa hanno fatto clamorosamente fiasco. Per dieci anni hanno messo sottosopra il mondo per dar la caccia a bin Laden. Senza risultato. Solo usando um metodo immorale, la tortura di un messaggero di bin Laden, sono riusciti ad arrivare al suo nascondiglio. Senza nessun merito proprio.

Tutto in questa caccia è sotto il segno del’immoralità, della vergogna e del crimine.
Per prima cosa il presidente Barak Obama, come se fosse un «dio» ha decretato l’esecuzione/assassinio di bin Laden. Questo è contro il principio etico universale di «non uccidere» e degli accordi internazionali che prescrivono la prigione, il processo e la punizione dell’accusato.
Così si è fatto con Hussein in Iraq, con i criminali nazisti a Norimberga, con Eichmann in Israele e con altri accusati. Con bin Laden si è preferita la esecuzione sommaria, crimine per cui Barak Obama dovrà un giorno rispondere. Poi si è invaso il territorio del Pakistan, senza nessun preavviso dell’operazione. Infine si è sequestrato il cadavere che è stato buttato in mare, un crimine contro la pietà familiare, il diritto che ogni famiglia ha di seppellire i suoi morti, criminali o no, che per pessimi che siano restano sempre esseri umani.
Non è stata fatta giustizia. Si è praticata la vendetta, sempre condannabile.
«Mia è la vendetta», dice il Dio delle scritture delle tre religioni abramiche. Ora resteremo sotto il potere di un Imperatore su cui pesa l’accusa di assassinio. E la necrofilia delle folle ci rende più piccoli e ci fa vergognare tutti.

*Teólogo, filosofo e giornalista brasiliano

da “il manifesto” dell’11 maggio 2011