l bilancio dell’INPS è in attivo. E lo è da diversi anni, ma la notizia viene accuratamente nascosta. Grande rilievo è stato dato, nei giorni scorsi, al grido di all’arme dell’ISTAT: le pensioni nel 2006 hanno inciso di più sul PIL rispetto al precedente anno.
La notizia viene squadernata a poche settimane dall’inizio del confronto sulle pensioni tra il governo e le parti sociali. Sembra un paradosso, i conti dell’INPS vanno bene e allora entra in gioco il Pil, ma se il bilancio dell’INPS fosse in rosso ignorerebbero il Pil e sparerebbero sul deficit dell’INPS come sempre hanno fatto in passato.
Nelle prossime settimane nella stampa e nella televisione si alzerà un grande polverone sulle pensioni. Si scomoderanno economisti, opinionisti, gli organismi economici europei; ci subisseranno di dati, di proiezioni; scopriremo che ormai non c’è limite per la durata della vita. Uno solo è l’obiettivo: mandare in pensione tutti/e più vecchi e con una pensione più povera.
L’ISTAT ha rilevato un altro dato che poi viene ignorato, ed è quello relativo all’importo delle pensioni. Risulta che gli ex lavoratori e lavoratrici private percepiscono mediamente 695 euro al mese pari a 9030 euro l’anno. Subito ti fanno rilevare che ci sono anche i lavoratori/trici pubblici che invece percepiscono mediamente 18000 euro di pensione lorda ogni anno: uno scandalo!
Ma poi non si scandalizzano, anzi plaudono al mancato prelievo fiscale sulle pensioni d’oro. Quel misero 3% che doveva essere prelevato sulla quota di pensione oltre i 5000 euro al mese di pensione è scomparso dalla legge finanziaria e non è stato un errore tecnico. 15 milioni di anziani percepiscono mediamente 700 euro al mese e di questi 5 milioni meno di 450 euro. Parliamo pure di PIL ma parliamo anche di questi uomini e donne anziani/ne che in numero crescente precipitano nella povertà.
Ma vediamo un più da vicino questo 15% di Pil che quei “voraci” nostri padri, madri, fratelli e sorelle scialano non curanti dei nipoti e dei conti dello Stato. L’ISTAT per stabilire la percentuale pensione-Pil si basa sugli importi delle pensioni erogati dai diversi enti: considera pensione anche gli assegni sociali, le integrazioni, le maggiorazioni cioè l’insieme degli interventi assistenziali collegati alle pensioni. Anche il Tfr è considerato pensione. I contributi che vengono versati non sono presi in considerazione, non importa se vi è un equilibrio, un pareggio tra su quanto incassato di contributi e quanto erogato come pensione. L’ISTAT prende in considerazione le pensioni lorde, ma sulle pensioni il fisco preleva circa il 20%.
Qualsiasi contabile, anche quelli che non usano il compiuter, per stabilire se una gestioneè attiva o passiva elenca le entrate ed i crediti, le uscite ed i debiti: il risultato può essere positivo o negativo.
Se l’ISTAT utilizzasse questo metodo ignorando anche i crediti che sono consistenti (gli enti erogatori non hanno debiti) il deficit pensionistico risulterebbe inesistente, certamente meno dell’1% del PIL. Il confronto sulle pensioni che inizierà a gennaio, già inquinato dalla manfrina dell’aumento della speranza di vita, dall’ossessione dei fondi pensione che non decollano, da proiezioni sui secoli a venire, lo si vuole caricare anche di questo “ipotetico” 15% del Pil.
Vorremmo sommessamente suggerire che vi è un dato da cui qualsiasi forza di sinistra e persino riformista non può prescindere ed è l’importo di 700 euro (media) al mese che percepiscono i pensionati/e del settore privato, importo che diminuirà per quanti si pensioneranno in futuro.