Se la morte decidesse di far sciopero. L’assurdo di Saramago

«Di dio e della morte non si sono raccontate altro che storie, e questa è soltanto una in più». La voce narrante e onnisciente dei libri di José Saramago invia un chiaro messaggio. «Il giorno seguente non morì nessuno»: l’incipit del nuovo romanzo del premio Nobel portoghese (Le intermittenze della morte, traduzione di Rita Desti, Einaudi, 2005, euro 17.00) è di quelli che aspirano a una lunga permanenza nei magazzini della memoria. «Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so» è il marchio indelebile de Lo straniero di Camus ed è quel «forse» che getta il lettore nel panico, dovendo accettare una logica che non corrisponde alla rappresentazione del suo sé, costretto a fare i conti con un castello di parole creato ad arte dall’abilità dello scrittore. «Il giorno seguente non morì nessuno» non dà adito a dubbi, non chiama in causa il probabile, ma annuncia l’impossibile. Invita a entrare nel regno dell’assurdo ed è questa la condizione che Saramago impone, se si vogliono apprezzare le sue congetture, le riflessioni ad alta voce che conducono ad altri sentieri, apparentemente distanti dal classico “messaggio” realistico-politico. Gli ultimi suoi scritti rendono chiara la sua ricerca sul campo, l’osservazione partecipante che scandaglia idee e comportamenti sedimentati nel senso comune – “perché così è sempre stato… ” – per rovesciarli in una logica che fa uso più del forcipe maieutico che del bisturi politico machiavellico. Il narratore, per quanto onnisciente, instaura una sorta di rapporto socratico con il “narratario” – brutta parola che indica un referente ipotetico all’interno del testo – ponendo domande, a cui fanno seguito sillogismi ricavati da un quotidiano dominato da un alter-logica, perché l’incipit posto non scende a compromessi con il Reale, ma ne dimostra per induzione la precarietà del suo inizio, da cui tutto consegue per uso e costume, per ferrea logica che non si può alter-are.
Che succede se la morte, capro espiatorio della madre di tutte le paure, improvvisamente ripone la falce e non ritira il premio dei sorteggiati dal destino della sua lotteria personale? Manifestazioni di giubilo e imbandieramenti patriottici sono le prime reazioni, tanto più che al di là della frontiera si continua a tirar le cuoia, ma il più grande sogno dell’umanità si prefigura nelle sue dimensioni sociali come il più terrificante degli incubi. Schiere di avoli e bisavoli, matusalemme in potenza, affollano le corsie degli ospedali. Onorati venditori della pace eterna dei corpi cominciano a rivendicare, in mancanza di materia prima, una riconversione “industriale” delle loro pompe funebri, prendendo di mira i bistrattati animali – che per ironia della sorte hanno l’anima di nome e non di fatto – e fino ad allora non avevano bisogno di sepoltura. Le case di cura, benefiche istituzioni ma pur sempre case dalla capienza limitata non accettano più gli eterni moribondi in crescita esponenziale. Per non parlare della caduta rapida della rendita vitalizia dei filantropi che attizzano il fuoco della paura, istigando ad accendere polizze che di vita hanno solo il nome.

E il governo? Il ministro della salute, di questa monarchia di dieci milioni di abitanti che rischiano di moltiplicarsi all’infinito, prima di dilapidare le casse del regno, chiede soccorso al sano volontariato, o meglio alle famiglie dirette interessate, ma tutt’altro che in ansia da prestazione, affatto entusiaste di tornare a combattere con mocci e sfinteri flaccidi dei loro cari.

Il pragmatismo politico una via d’uscita la trova sempre, anche con accordi occulti con la “maphia”, che del traffico oltre frontiera di quei pesi morti fa buon commercio, ma «le religioni non hanno altra giustificazione per esistere che con la morte… senza morte non c’è resurrezione e senza resurrezione non c’è chiesa», insomma, la morte è fondamentale per la realizzazione del regno di dio.

Pagine di filosofica ironia, anticipate da un epigrafe di Wittgenstein, accarezzano ruvidamente i problemi di una società che sopporta a fatica l’improduttivo anziano, scialacquatore di laute pensioni sociali. Quando la morte interrompe all’improvviso il suo sciopero e ricomincia a far valere la scadenza di quel contratto a tempo determinato che è la vita, decide di cambiare le regole: invia otto giorni prima della rescissione del contratto le sue funebri notifiche agli inconsapevoli destinatari. Queste buste di color viola, firmate di suo pugno, segnano la ripresa della catena di montaggio che si era interrotta per sette mesi. Il primo ministro tira un sospiro di sollievo e la chiesa incassa la lungimiranza espressa nel concetto di morte rinviata che spiegava l’interruzione precedente.

Il lirismo delle ultime pagine è affidato al tremolio dell’archetto di un violoncellista: solo a lui non arriva la funerea lettera. La suite numero 6 opera 1012 in re maggiore di Bach intona il canto dell’unità degli uomini, dell’amicizia e dell’amore. La nona sinfonia di Beethoven rinvia all’Ode alla gioia di Schiller. Il violoncellista vive solo, con un cane, e la sua busta viola torna al mittente per ben tre volte. Tanatos, atropo (nome di una farfalla che ha sul torace il disegno di un teschio e, anche, della parca che taglia il filo della vita), la morte, o, come la si voglia chiamare, prende le fattezze di una donna bella e giovane e decide di consegnare personalmente la missiva.

Saramago ricorda che Proust aveva visto la sua morte nelle fattezze di una donna grassa. La chiesa insegna ad aver paura della Morte universale. Le «intermittenze del cuore» di cui Proust scrive in Sodoma e Gomorra, rinviano a quegli attimi del passato che danno senso alla vita. Le intermittenze della morte valgono anche per un ateo come Saramago, nato in un paese quando le speranze di vita si fermavano a trentacinque anni. Adesso ne ha più di ottanta, un’eternità dice lui. Non si arrende, non vuol cedere il monopolio della morte alla religione, che è proprietà anche di un ateo perché appartiene alla vita e al senso che gli uomini le danno. Il violoncellista attende la morte, l’immancabile donna dei romanzi di Saramago che gli deve consegnare la busta viola. L’uomo sorride, apre il quaderno sul leggio e comincia a suonare.