Se la donna incinta è irachena

La “France Press” (principale agenzia di stampa francese) è chiarissima nel suo racconto. Nabiha Mohammed Jassim aveva 35 anni, era in automobile con sua cugina Saliha Hammad Hassan, e col fratello di lei, del quale non si conosce il nome; alla guida dell’auto c’era il fratello, e correva, suonando il clacson. Era diretto all’ospedale centrale di Samarra. Nabiha era adagiata sul sedile posteriore, aveva le doglie, si erano rotte le acque, doveva partorire da un momento all’altro. Sembra che per un errore l’automobile abbia imboccato una strada sbarrata, proibita. Una strada riservata all’esercito americano. I soldati hanno visto la macchina, che non era autorizzata, e hanno deciso di fermarla nel modo più spiccio: sparando. Pare che un tiratore scelto fosse appostato su un tetto e abbia preso la mira. Il fratello di Nabiha è stato colpito solo di striscio, se l’è cavata. Nabiha e sua cugina Saliha sono state fulminate dalle pallottole. Anche il bambino, che avrebbe dovuto nascere nella notte di mercoledì, non nascerà, un proiettile lo ha trapassato, un proiettile letale.
Gli americani, in un comunicato ufficiale, si sono detti dispiaciuti per il piccolo massacro. «Questi incidenti – c’è scritto nel comunicato – quando portano alla perdita di vite innocenti sono davvero disdicevoli, e l’esercito americano fa grandi sforzi per cercare di evitarli». Nella nota del comando statunitense c’è anche scritto che c’erano molti segnali, però, e chiari, e grandi, evidenti, e questi segnali dicevano in modo inequivocabile che quella strada non doveva essere percorsa da un’auto di civili. I militari americani non sanno spiegarsi come mai le due donne e il fratello di Nabiha non abbiamo visto quei cartelli.

Chissà perché questa storia non è stata raccontata ieri dai giornali italiani. Non ho mai capito bene cosa dicano, al proposito, i manuali di giornalismo, però a me sembra che se dei soldati americani sparano a freddo, e uccidono, una donna incinta al nono mese e sua cugina, la notizia c’è (i manuali dicono sempre di quella storia che se un cane morde l’uomo non è notizia e se l’uomo morde il cane lo è; ma di come vada valutata l’uccisione di un’irachena da parte di un americano non se ne sa niente…).

Vi ricordate, appena un paio di settimane fa, quella polemica furiosa accesa da un direttore di giornale che aveva deciso di pubblicare in prima pagina l’immagine del feto (vestito con un trucco del computer, in modo da sembrare un bambino già nato) che aveva perso la vita insieme alla madre vittima del delitto di un pazzo, in Veneto? Stavolta niente, né idee scandalose (e piuttosto sciocche, come quelle della foto) e neppure un titoletto in prima pagina, o magari anche in una pagina interna. La donna era irachena, e anche il feto – o il bambino nascente – non aveva niente a che fare con la civiltà occidentale.

Eppure questa storia di Nabiha ci illustra in modo chiarissimo come ormai occupazione militare americana sia sfuggita al controllo degli stessi comandi. Avete visto, a suo tempo, quel film bellissimo, con Marlon Brando, fine anni ’70, che si chiamava “Apocalypse Now”? Vi ricordate come descriveva bene lo stato mentale delle truppe occupanti (era la guerra del Vietnam), che non avevano più la capacità né di governare se stesse, né di controllare la situazione, né di immaginare cose da fare e da non fare, ma capaci solo di sparare, comunque, ossessionati dalla paura e dalla assenza di idee e di prospettive? Beh, l’Iraq, sotto questo punto di vista, è identico al Vietnam. Il disegno politico generale degli americani è chiaro, ed è un disegno fondamentalmente di dominio – politico e militare – che sostituisce con la potenza delle armi ogni altro pensiero e progetto politico, o economico, e sostituisce persino la stessa idea di globalizzazione. Ma dentro questo progetto di dominio non c’è più nulla di concreto e di ragionevole. Per questo – per la contraddizione stridente fra obiettivo e situazione reale – si produce in modo ormai vastissimo e generalizzato il fenomeno della violenza pura, dell’uso vile e feroce della forza, della strage, della tortura o – nel migliore dei casi – degli spari nel mucchio. Questo livello di inciviltà al quale è arrivata l’occupazione guidata dagli americani è il problema che non si può più nascondere.