Se il PRC non intercetta voti a sinistra

Lo snodo analitico da cui partire per una valutazione del recente responso elettorale è senza dubbio la netta crisi di consenso delle destre e della loro azione di governo. Potremmo dire – con una battuta – che la demagogia ha le gambe corte, che l’efficacia della propaganda ideologica e mediatica trova un limite invalicabile nel peggioramento delle condizioni materiali di una larga parte del paese: di qui il calo di popolarità della leadership berlusconiana, espressione di un profondo disagio che arriva ormai a toccare ampi settori della fascia intermedia della popolazione.

Oltre a ciò, mi pare vi sia da leggere in tale arretramento generalizzato – abbastanza omogeneo in tutto il territorio nazionale – l’approfondirsi delle contraddizioni interne allo stesso blocco sociale che ha sin qui sostenuto la compagine governativa. In una congiuntura economica internazionale non certo favorevole, questo governo non è comunque riuscito a dare una prospettiva credibile alle aspirazioni di una parte dei suoi stessi ceti di riferimento, non ha consolidato le basi strutturali del suo consenso, lasciando anzi che si allargassero le crepe già aperte negli assi strategici del nostro sistema produttivo e facendo arretrare gli indicatori economici del paese rispetto ai principali partner europei.

Il secondo dato messo contestualmente in rilievo da queste elezioni regionali è il successo della coalizione di centrosinistra e, ad esser precisi, delle sue componenti moderate. Nonostante un’opposizione alquanto pallida, il centrosinistra approfitta dei demeriti del centrodestra, raccoglie i contraccolpi nell’elettorato delle politiche antipopolari promosse dal governo e – come mostra l’esito del voto al Sud – incassa consensi anche sull’onda del malumore prodotto dalle pulsioni antimeridionalistiche palesemente presenti in scelte istituzionali quali la devolution.

In tale contesto, va ben valutata la vera e propria battuta di arresto di Rifondazione Comunista. So bene che, dopo le aspre contrapposizioni dell’ultimo congresso, ogni nostra valutazione non sfugge alla presa maliziosa della dialettica interna di partito. Ma, dopo tutto, i fatti hanno la testa dura: cerchiamo quindi di stare ai fatti. Voglio dire, in primo luogo e senza sfumature, che non mi convince affatto l’argomentazione di chi ritiene di poter sciogliere il dato dell’arretramento della nostra lista di partito con la bellissima vittoria di Nichi Vendola in Puglia. Al contrario, ritengo giusto dire che “bisogna fare come Vendola” – grande radicamento territoriale del candidato, capacità di caratterizzare la campagna elettorale sintonizzandosi su un sentire comune e riuscendo a stabilire un rapporto leale con la propria coalizione senza rinunciare ad esaltare le specificità della propria posizione politica – e, nel contempo, proporsi di fornire un’analisi rigorosa della battuta d’arresto del Prc (perfino nella stessa Puglia).

Quanto al successo di Nichi Vendola, aggiungo che esso è importante non solo perché non era facile vincere (vista la disparità di partenza degli orientamenti elettorali in quella regione) ma perché con esso risulta comprovato – al contrario di quello che si è sostenuto da parte del centrosinistra – che la presenza di un candidato comunista non fa affatto fuggire i voti moderati ed anzi riesce a mobilitare alla partecipazione e al voto settori decisivi della società.

Ma veniamo al nostro risultato, a mio parere del tutto insoddisfacente. Si è ricordato che tradizionalmente il Prc non brilla in occasione delle elezioni amministrative, a differenza delle consultazioni politiche dove riesce ad esprimere tutta la sua potenziale forza di convinzione. Ciò è vero, ma solo in parte. Non va dimenticato che le elezioni regionali del 2000 fecero registrare per il Prc un incremento dello 0,7% rispetto alle europee di un anno prima. Inoltre, nel privilegiare questo raffronto elettorale, perché sottacere quello che viceversa viene sempre ricordato dai compagni della maggioranza: e cioè che tra il 2000 e il 2005 abbiamo assistito ad una ripresa dei movimenti di massa, dalla quale sarebbe stato lecito aspettarsi un’adesione alle scelte del nostro partito non solo ideale ma anche in termini elettorali? E in fondo non era forse questa l’aspettativa del nostro gruppo dirigente?

Ma c’è un altro elemento che balza agli occhi. Noi andiamo indietro rispetto alle ultime europee in percentuale (-0,7%) e in voti assoluti (-390 mila voti) in modo omogeneo e in tutte le regioni (tranne la Liguria e la Lombardia), mentre tutte le altre forze del centro sinistra (compresi il Pdci e i Verdi) avanzano. C’è quindi un sostanziale spostamento a sinistra dell’elettorato che Rifondazione Comunista non intercetta: qui sta il principale motivo di preoccupazione. Non possiamo non riflettere seriamente su tale dato, tenendo anche presente il fatto che il Prc ha potuto godere come mai era avvenuto in passato del massimo di visibilità mediatica e di valorizzazione politica da parte di quanti, nel centrosinistra, non hanno cessato di esprimere il loro apprezzamento per “la svolta” di Bertinotti. Perché dunque un risultato così magro per noi?

Avanzo rapidamente un’ipotesi interpretativa, con la necessaria cautela e con la riserva di procedere ad un giudizio più circostanziato di quanto non sia qui possibile fare. Sorvolo su possibili differenze di analisi, ribadendo unicamente che, a mio parere, non si debba indulgere ad una valutazione eccessivamente trionfalistica dei mutamenti nei rapporti di forza tra le classi e di un’uscita in avanti dalla crisi del neoliberismo, durevole e consolidata. In effetti, continuo a diffidare di una precipitazione ottimistica dell’analisi di fase. Ma vorrei qui insistere su un altro punto. In estrema sintesi, Rifondazione Comunista ha guadagnato consensi ogni qualvolta è riuscita a valorizzare il suo profilo unitario – la disponibilità a ricercare soluzioni politiche in grado di modificare in meglio le condizioni materiali dei soggetti sociali di riferimento – mantenendo nel contempo la sua “diversità” ed esercitando all’interno di tale assetto unitario una coerente ed effettiva capacità di condizionamento. Questa è stata ed è ancora la forza del Prc, la positiva immagine di sé che ha offerto al popolo della sinistra. Questa forza, questa percezione di una diversità del Prc, a mio parere, sono andate appannandosi negli ultimi mesi. La condivisibile attitudine unitaria non è stata visibilmente e sin dall’inizio accompagnata dall’altrettanto necessaria puntualizzazione di quello che Rifondazione considera discriminante nel confronto programmatico con il resto della coalizione. Troppi silenzi, troppe timidezze: sia sul terreno della politica internazionale, sia su quello della politica interna. Troppo scontato il nostro inserimento a pieno titolo nella coalizione; e, soprattutto, nel futuro probabile governo di alternativa alle destre (di cui, ancora in queste ore, Piero Fassino continua a dare un’immagine tutt’altro che rassicurante). E, aggiungo, troppo confusi e frettolosi gli strappi operati sul terreno identitario. Ritengo che una parte del nostro potenziale elettorato non abbia compreso ed abbia bocciato queste nostre gravi lacune.

C’è comunque ancora tempo per correggere gli errori. L’importante è riconoscerli.