L’idea di fare del comunismo “una tendenza culturale” e nient’altro – con quel tanto di non logica che il mutamento impone, così che la battagliera Liberazione, dopo aver dedicato un memorabile inserto di elogio al “microfallo” potrà proporne un altro di esaltazione del “microcomunismo” – è il capolavoro finale del percorso bertinottiano. Tanto Armani ha destrutturato le giacche quanto Fausto ha destrutturato l’antica fede, tra i viottoli del Monte Athos e li mejo salotti romani, dove (testimonianza di Mario D’Urso) è tutto un inconsolabile lacrimare di principesse turbate – noblesse oblige – dall’annuncio dell’abbandono televisivo da parte del presidente della Camera. Il comunismo come “tendenza culturale” è praticamente l’inserto del comunismo reale, il gadget allegato, la portabilità contro la scomodità. Certo, bisogna riconoscere che Bertinotti è coraggioso: W del comunismo non ha fatto neanche una “tendenza culturale” ma si capisce, non essendo mai stato comunista; ma Fausto, che era socialista e diventò comunista, tanto per incasinarsi l’esistenza, poi comunista lo è stato, e anzi ufficialmente ancora lo è. Bisogna solo immaginarsi il Manifesto, “quotidiano di tendenza culturale”, a questo punto. O la tessera del partito, Rifondazione della tendenza culturale. Sopravviverà, di tutta la faccenda, la parte più interessante: il superfluo. Come i volumi spaiati della storia di Paolo Spriano in vendita su E-bay, come nelle enciclopedie collezionate da Rina Gagliardi, come nel museo garage di Sandro Curzi, dove il berretto dell’Armata rossa brilla di luce propria laggiù nel fondo. E nella mitologia che, infine, sarà solo il Cav. a coltivare, come ieri quando ha evocato “i brogli che vengono dalla scuola di Frattocchie”, e chissà chi glielo ha mai messo in testa – oltre al rinfoltimento – questa roba delle Frattocchie, “tendenza culturale” se mai ce ne fu una, spauracchio inoffensivo, come la falce e il martello che troneggiano placidi nell’ingresso della fu sede di Botteghe Oscure, ma i comunisti hai voglia a cercarli lì dentro, più facile trovarne frotte negli studi Mediaset. Senza mancare di rispetto, l’annuncio di Bertinotti in fondo è come l’annuncio di voler tirare i remi in barca, tirare la falce e il martello in officina, il delegare quello che era un programma di lotta a un convegno con introduzione di Aldo Tortorella. Figurarsi, siccome in Italia ogni partito comunista ne hai figliato un altro, che a sua volta ne ha generato un terzo – e via, sempre più puri e sempre più duri – immediato si è levato il coro della protesta proletaria, da dentro Rifondazione a dentro il partito dilibertiano, giù giù, fino a Ferrando, fino a Sinistra critica, fino a pulviscoli di comunismo persi in rete. E’ un colpo di genio, da parte di Fausto. Non lo supera, il comunismo. Manco lo discute – tanto è faitica persa, essendo sempre in agguato quello che ti dà del traditore. Non lo riattualizza – altra fatica persa. Lo congela, lo consegna al sentimento e al modernariato popolare, bottta di gioventù che tanto l’anniversario del Sessantotto passa, ma qualcuno che era comunista nel Sessantanove si troverà sempre. Se Diliberto – che il restante comunismo gestirà con Marco Rizzo, mentre Bertinotti consolerà l’inconsolabile aristocrazia lacrimosa: meravigliosamente raccontata da D’Urso – voleva tempo fa la salma di Lenin, da portare in salvo nella penisola dalla Piazza Rossa, il compagno-coltello gli offre una salma di dimensioni stratosferiche, un
sabba da andarci avanti per qualche decennio. Sarà qualche corteo da sabato pomeriggio, qualche festival dove ancora si ascolterà – con giustificata lacrima al ciglio – il suono di Bandiera rossa, la vendita per corrispondenza a prezzo stracciato di tutto l’invenduto dell’Accademia delle scienze dell’Urss. Di là, ciò che era grande si farà pop – e dunque, paradossalmente, ancora più grande. Dal realismo socialista – alcuni incredibili manufatti sono ancora conservati nei magazzini dell’ex Pci – si passerà alla lezione di Andy Warhol: sarà non il trionfo delle masse sulla tela, ma dei multipli sulle pareti. E quindi ancora più masse. E chissà, un Togliatti o addirittura un Bertinotti di diverso colore, come fu per Mao – guarda un po’: l’unico Mao ancora rintracciabile – o il frontespizio del glorioso e meditato “Nuove generazioni, democrazia, socialismo” di Paolo Franchi (Editori Riuniti 77) riprodotto all’infinito, come fu per la storica banana del grande artista. Sarà poster dopo poster, memoria lieta e sbarazzina. Così che infine pure il Cav., ossessionato dalle Frattocchie, anziché “Il libro nero del comunismo”, si limiterà a un catalogo,