Se di lavoro si muore

Ogni giorno accade nei luoghi di lavoro ciò che è per tutti prevedibile e da tutti previsto: muoiono lavoratori. Nel 2006 nel nostro Paese sono decedute per infortunio 1328 persone, alle quali ne vanno aggiunte 300 morte in conseguenza di malattie contratte nell’esercizio del proprio lavoro. Per non dire degli infortuni non mortali: sono 961.163 quelli denunciati nel 2006, il 3% in più dell’anno precedente.
Questo 2007 sta rispettando le previsioni, aprendosi nello stesso modo con cui si era concluso il 2006. E’ di questa mattina l’ultima vittima, a Gradolo, in provincia di Trento: un operaio polacco di cinquantatre anni investito dalla catena di una gru all’esterno di un magazzino.
Dal 2001 ad oggi abbiamo pianto più di 7.000 vittime, quasi si trattasse di altrettante sciagurate fatalità dinanzi alle quali altro non è dato se non inchinarsi impotenti.
Ma quando si varca quel “limite intollerabile” di cui oggi il presidente Napolitano è tornato saggiamente a parlare, risulta chiaro che non si tratta più di semplice casualità. L’inarrestabilità di questa immensa teoria di morti ci ricorda che esistono responsabilità precise, con le quali è venuto il momento di fare i conti. Il monito del presidente della Repubblica ci chiede dunque che le parole cedano il passo alla concretezza dei fatti.
Deve essere così anche per la politica, dalla quale non possiamo che pretendere concrete risposte legislative.

Nelle scorse settimane il Consiglio dei ministri ha varato un disegno di legge delega in materia di sicurezza, rispetto al quale sono indispensabili – a nostro avviso – modifiche significative. Limitiamoci a due aspetti essenziali.
In primo luogo gli appalti, materia nevralgica, considerato che la maggior parte degli incidenti colpisce lavoratori in forza a imprese appaltatrici. Il ddl è gravemente carente per ciò che attiene agli obblighi del committente, nella misura in cui si limita a rinviare genericamente ad un principio di potenziamento del regime di responsabilità solidale tra appaltante e appaltatore. Una prevenzione efficace richiederebbe ben altre misure, a cominciare dall’obbligo, per il committente, di allegare al contratto di appalto, pena la sua invalidazione, un piano vincolante di sicurezza che tenga conto dell’impiego comune degli impianti e definisca le procedure collettive per le emergenze.

La seconda questione concerne gli rls, figure-chiave le cui funzioni il programma dell’Unione dichiara di voler rafforzare ma che il testo del governo degna di poca attenzione. Il ddl non prevede misure atte a rafforzarne il ruolo: né l’elezione diretta da parte dei lavoratori né la facoltà di redigere un proprio documento di analisi dei rischi. Non ne sancisce il diritto di ottenere dall’impresa tutte le informazioni necessarie all’esercizio delle proprie funzioni, né stabilisce che l’rls possa avvalersi della collaborazione di tecnici esterni. Ancor meno dispone – come sarebbe invece necessario – che l’rls svolga il proprio ruolo secondo prescrizioni minime di legge, anche laddove la contrattazione collettiva non ne abbia definito adeguatamente le modalità di esercizio.
Si tratta, com’è evidente, di questioni complesse. Ciascuna di esse – così come le proposte di legge in materia presentate e quelle che, nelle prossime settimane, presenteremo – mette alla prova la volontà politica del governo di arginare il dramma delle “violenze sul lavoro” in ogni sua articolazione e, quindi, di garantire ai lavoratori il diritto, costituzionalmente protetto, alla salute e alla sicurezza.
Pensiamo al tema dell’amianto, che chiama in causa l’emergenza delle malattie da lavoro. L’Istituto superiore di sanità indica in una cifra compresa tra il milione ed il milione e 200 mila il totale dei lavoratori potenzialmente esposti ai rischi connaturati all’amianto. Tra queste centinaia di migliaia di lavoratori il Registro Nazionale dei Mesoteliomi ha già annotato 1200 casi di mesoteliomi della pleura causati proprio dall’esposizione all’amianto.
Non si può più accettare questo stato di cose, soprattutto in un Paese la cui Carta costituzionale indica nel lavoro il fondamento della Repubblica.
Sul governo e su tutte le forze della maggioranza incombe il dovere di confermare, oltre alla fedeltà ai principi fondanti la nostra comunità, la validità degli impegni programmatici assunti in tema di sicurezza sul lavoro.
Perché è sempre più stridente la contraddizione tra le parole – seppure sincere – di commozione e la sostanziale inerzia di chi ha responsabilità e voce in capitolo. Il rischio che si corre, in assenza di fatti concreti, è che le parole perdano ogni significato e ogni credibilità. In quel caso, sarebbe forse preferibile il silenzio dello sconforto: faremo di tutto perché non si giunga a tanto.

* Deputato Prc