Se 40 ore vi sembran poche

«Es reicht», basta, tuona Frank Bsirske nei suoi comizi in giro per il Baden-Württemberg. Bsirske, presidente del sindacato unificato dei servizi Verdi con 2,4 milioni di iscritti, non è in vena di analisi sottili, non ha remore a servirsi di una retorica barricadiera. «O pieghiamo la testa, o reagiamo», dice tra gli applausi assordanti dei netturbini in sciopero dal 6 febbraio a Stoccarda e nelle altre città del sud-ovest tedesco. Gli impiegati pubblici sono esasperati da anni di austerità a senso unico. Ora si ribellano perché la controparte vuole prolungare gli orari di lavoro, a salari immutati: per i dipendenti dei comuni dell’ovest da 38,5 ore a 40 ore. Lo sciopero è cominciato in Baden-Württemberg, Land capofila del revanscismo sugli orari. Da lunedì si estenderà anche ai dipendenti regionali di nove regioni: oltre al Baden-Württemberg, Baviera e Bassa-Sassonia, Nodreno-Vestfalia e Renania-Palatinato, Saar e Schleswig-Holstein, Amburgo e Sassonia.

Gli scioperi sono «a oltranza», ma vengono effettuati a scacchiera. La settimana scorsa in Baden-Württemberg si sono fermati non più di diecimila operai al giorno, a rotazione in diverse città, così da ridurre al minimo i disagi per la popolazione. I cassonetti della spazzatura, anche se con un paio di giorni di ritardo, vengono svuotati. I Kindergarten chiudono non più di un giorno alla settimana. Gli ospedali garantiscono i servizi fondamentali.

Lo sciopero non è «cattivo». Ma per gli standard tedeschi è una misura estrema: un simile conflitto sindacale non si vedeva nel pubblico impiego tedesco da 14 anni a questa parte.

Il fatto è che ci si è proprio stufati, e non solo nel pubblico impiego. Tra il 1995 e il 2004 i salari reali in Germania sono scesi dello 0,9 per cento (mentre sono aumentati di un misero 2 per cento in Italia, o dell’8,4 in Francia, o persino del 25,2 per cento in Gran Bretagna).

Se questa è la media del decennio trascorso, ancor peggio è andata nel 2005. Secondo la fondazione sindacale Hans Böckler, le tariffe contrattuali sono aumentate in media dell’1,6%, meno dell’inflazione al 2%. Siccome ormai le deroghe ai contratti li hanno bucherellati come una gruviera, e molte aziende sono uscite dalle associazioni padronali e quindi non sono più tenute alle tariffe sindacali, sempre più lavoratori devono accontentarsi di paghe più basse: di fatto l’aumento nominale dei salari lordi non avrebbe superato lo 0,5%, un punto e mezzo meno dell’inflazione.

Così anche i metalmeccanici dell’IG Metall hanno alzato i toni. L’8 febbraio hanno aperto le trattative per il rinnovo del loro contratto chiedendo aumenti salariali del 5 per cento. Richiesta meno drastica di quanto sembri a prima vista: al netto dei rituali del sindacalismo tedesco, significa che l’IG Metall potrebbe accontentarsi del 2,5%.

Eppure, con l’aria che tira, nemmeno questo ragionevole traguardo è scontato. La Volkswagen ha tempestivamente estratto dall’arsenale dei ricatti la clava di 20 mila posti di lavoro a rischio, sui 103 mila negli stabilimenti della Germania occidentale. Un dipendente su cinque è minacciato, sebbene si lasci capire che il problema vero sono i «costi» del lavoro: l’azienda potrebbe essere più clemente se si rinunciasse a pezzi di paga.

Intanto il primo tempo della partita si gioca nel pubblico impiego, dove amministrazioni comunali, regionali e federali – protette dalla complicità trasversale della Grande Coalizione tra democristiani e socialdemocratici – hanno perso ogni ritegno. Venerdì scorso il ministro degli interni Schäuble (Cdu) ha precisato i piani per risparmiare un miliardo l’anno a spese dei 400mila Beamte, i funzionari federali che per legge non possono scioperare: aumento dell’orario da 40 a 41 ore settimanali, riduzione dell’«assegno di natale» al 30% di una mensilità.